La torre di Jenga - Testimonianza


  • 24 Luglio 2020

Dopo 48 ore di viaggio, una decina di mascherine e litri di gel antibatterico finalmente siamo a casa in Italia. Ma la testa è ancora là, a La Sierra, che è stata casa nostra per gli ultimi otto mesi. Mesi che ora scorrono veloci nella mente, come fotogrammi di un film che non vorremmo finisse mai.

Mai avremmo potuto immaginare che, quello che sembrava un innocuo virus diffusosi prima in Cina e poi in Italia, potesse propagarsi al punto da interrompere il nostro anno di servizio a La Sierra. Così, la mattina del 14 marzo, arriva come una bomba la notizia del nostro probabile rimpatrio in Italia. Iniziano giorni strani, caratterizzati da rabbia e amarezza per un lavoro interrotto tre mesi in anticipo, tre mesi di vita in Colombia che nessuno ci restituirà. Sono giorni anche carichi di ansia e preoccupazione, sia per le nostre famiglie in Italia sia per la comunità de La Sierra, con cui tanto abbiamo condiviso in questi mesi.

È sempre triste dover salutare un posto in cui ti sei sentito a casa. Tuttavia, andarsene così, senza una festa d’addio, senza poter abbracciare i bambini e i tanti amici conosciuti in questi mesi fa parecchio male.

Dunque, non ci resta che sfogliare l’album dei ricordi. Emerge subito la foto di gruppo della giornata di pittura comunitaria del Centro Giovanile. È solo del mese scorso, anche se sembrano trascorsi secoli.                                      

Siamo sorridenti, guardando la fotografa che ci immortala dalla terrazza della chiesa. Quella foto trasmette gioia, allegria e racchiude tutto il senso del lavoro svolto a La Sierra. Quel giorno, infatti, grazie all’apporto della Fondazione Juguemos en el bosque, che ci ha fornito materiali e un buon numero di volontari, abbiamo finalmente ridipinto la facciata esterna del Centro Giovanile, che ora spicca per le sue tinte arancione e verde, sembrando un enorme mandarino nel cuore del barrio.

Non sembra vero ma sono trascorsi solo otto mesi dal nostro primo ingresso nella struttura a luglio 2019, quando siamo arrivati a La Sierra. In quel momento, quello che sarebbe diventato il Centro Giovanile di quartiere, appariva come un vecchio edificio sporco e fatiscente, pieno di calcinacci e di vecchi mobili. Ora è uno spazio pieno di vita, colorato e allegro, così come le persone che quotidianamente lo frequentano e lo fanno vivere.                                                                                                                     Tra questi due fotogrammi è racchiuso il nostro lavoro come Corpi Civili di Pace per la ONG italiana Engim Internazionale: il servizio quotidiano alla ludoteca e alla biblioteca, tra partite a ping-pong, domino e carte, talleres di manualità e di arte, il cineforum del venerdì con quintali di crispetas da preparare, le riunioni comunitarie, i tornei e le canzoni di reggaeton, corsi di inglese e di yoga, tra tanti abbracci e anche qualche sgridata.                                                                                                                 Improvvisamente, è come se qualcuno dall’alto avesse tolto il perno fondamentale della torre di Jenga, per citare uno dei giochi più gettonati del Centro Giovanile, e tutta la costruzione fosse andata in frantumi. In maniera del tutto imprevedibile, un infame microscopico virus ha interrotto la nostra esperienza a La Sierra prima del dovuto.

Restano i ricordi, tanti e intensi, e molte soddisfazioni. In primis, l’opportunità straordinaria di vivere a Medellin in un quartiere come La Sierra, con i suoi abitanti orgogliosamente impegnati in un faticoso percorso di riscatto sociale da un’immagine di violenza che l’ha stigmatizzato per lungo tempo. Negli ultimi anni il processo di cambiamento del barrio ha spinto sull’acceleratore, grazie ai recorridos turistici, l’arrivo del metrocable e del nuovo colegio e il lavoro comunitario di tanti gruppi giovanili e di associazioni culturali locali. Un processo collettivo che coinvolge numerosi attori intorno alla Parrocchia e al lavoro svolto dai padri Giuseppini del Murialdo. Il tutto, cercando di rimanere fedeli alla memoria di chi quel barrio l’ha prima sognato e poi costruito, mattone dopo mattone, nei decenni passati.

Chiudiamo gli occhi e ci immaginiamo scendere ancora una volta una delle tante scale de La Sierra, incrociando un bambino che torna dal colegio. La sua domanda sarebbe “Profe, hoy va abrir?” 

E la risposta che ci piacerebbe dare sarebbe questa: “Muy pronto mi amor. Muy pronto

Ancora grazie di tutto La Sierra, ci vediamo presto.

Matteo e Floriana

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Messaggio di Papa Francesco al capitolo generale della CSJ

Al Reverendo P. Tullio LOCATELLI Superiore generale della Congregazione di San Giuseppe del Murialdo     Nell’approssimarsi della celebrazione del XXIV Capitolo generale della vostra famiglia religiosa, desidero far giungere a Lei e ai Confratelli la mia paterna vicinanza, assicurando la preghiera in tale momento di comunione fraterna e di riflessione. L’evento capitolare è l’occasione in cui lo Spirito Santo suscita nei cuori gratitudine al Signore per i doni che ha elargito e incoraggia tutti ad accogliere le inevitabili complessità che il tempo riserva, con fede e fiducia in Dio che, “così buono, così pwiente, così generoso”, come amava dire il Fondatore, agisce sempre in maniera sorprendente attraverso uomini e donne scelti per essere un faro di luce nelle tenebre del mondo. Ne è prova la storia della Congregazione, nata da1l’ispirazione profetica di San Leonardo Murialdo, che ha saputo cogliere nelle necessità dell’epoca l’esigenza di dedicare il suo Ministero all’educazione cristiana ed intellettuale dei giovani, specialmente degli orfani e di quelli piu disagiati, per garantire loro un inserimento nell’ambito del lavoro. Se consideriamo i mutamenti sociali odierni, come Chiesa percepiamo l’importanza di prendere con urgenza decisioni lungimiranti per il futuro delle nuove generazioni. Pertanto anche Voi, presenti nel vasto campo della pastorale missionaria, siete chiamati ad affrontare le attuali sfide con atteggiamento positivo e confidente facendovi prosslmi con dedizione. Penso dunque al compito di educatori e di consacrati che avete liberamente donato la vita a Cristo e per la Sua Chiesa: ebbene, ravvivate la passione per il Vangelo, portate consolazione e pace a chi è nella prova, esortate cori “tenerezza e carità”, e abbiate cura di quanti sono segnati dalla sofferenza, perché possano scorgere in Voi lo sguardo amorevole del Padre che «asciuga le lacrime su ogni volto» (cfr. I8 25). “Carità è guardare e dire il bello di ognuno, perdonare di cuore, avere serenità di volto, affabilità, dolcezza...”; sono parole che ben esprimono l’eredità spirituale di San Leonardo Murialdo da accogliere e trasmettere con benevolenza, in quanto custodi premurosi di Cristo nei fratelli, miti e obbedienti sull’esempio del Santo Patriarca, ehinandoVi sulle ferite del Redentore, presente e vivo nelle piaghe dell’umanità d’oggi, affinché, secondo il Santo sacerdote torinese, «ne perdantur» (Epistolario V, 2156 e 2187). Come ho ricordato nella Lettera Apostolica Patria corde, «tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà» (Lett. Ap., 8 dicembre 2020). Con questi sentimenti, imparto a ciascuno di Voi e all’intera famiglia murialdina la mia Benedizione, affidandoVi alla materna intercessiorie della Vergine Maria, «Madre nostra, ...] la piu amante, la più affettuosa delle madri» e a San Giuseppe suo castissimo sposo, e chiedendoVi di continuare a pregare per me. Fraternamerite Papa Francesco   Roma, da San Giovanni in Laterano, 19 marzo 2024 Solerinità di San Giuseppe sposo della B.V.M. e Patrono della Chiesa Universale


23 Marzo 2024

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