I LUOGHI

SAN LEONARDO MURIALDO

Luoghi


San Murialdo

  • Collegio degli Artigianelli
  • Chiesa di Santa Barbara
  • Casa Natale del Murialdo
  • Chiesa di San Dalmazzo
  • Chiesa di Santa Chiara
  • Santuario della Consolata
  • Chiesa della Visitazione
  • Oratorio San Luigi
  • Villa Murialdo
  • Università
  • Casa famiglia per giovani operai e per studenti
  • Tomba della Famiglia Murialdo
  • Chiesa di Nostra Signora della Salute
  • Oratorio San Martino
  • Corso Palestro, 14 – Torino

Il Collegio Artigianelli di Torino fu fondato da don Giovanni Cocchi (1813-1895) il quale, alla fine del 1849 cominciò a radunare attorno a sé alcuni ragazzi poveri e abbandonati. Il collegio subì vari traslochi, fino al trasferimento (marzo 1863) nella sua sede definitiva, appositamente costruita, in Corso Palestro 14, quando ormai ne era rettore don Pier Giuseppe Berizzi (1824-1873). 

Il nome “Artigianelli”, voluto da don Cocchi, alludeva alla formazione professionale che l’istituto assicurava ai suoi giovani, mediante vari laboratori (per i falegnami, i calzolai, i sarti, i tipografi, i legatoria di libri, i fabbri, gli scultori e i pittori, i tornitori in ferro).  

Nel 1866 Berizzi fu richiamato nella sua diocesi di origine (Biella) e il Murialdo lo sostituì nella direzione, facendosi carico di quei ragazzi poveri e abbandonati che negli anni del suo rettorato furono sempre circa 180-200. 

Il Collegio Artigianelli ha per i Giuseppini e per tutta la Famiglia del Murialdo un valore unico ed inestimabile perché qui è vissuto il Murialdo per 33 anni e qui egli ha fondato la Congregazione di San Giuseppe. E’ la Casa Madre della congregazione, colma dei ricordi di san Leonardo, di don Reffo, di don Costantino e di altri Giuseppini della prima ora. 

La visita inizia dall’atrio d’ingresso, nel quale campeggia il busto di don Cocchi, fondatore del collegio. Il porticato che si affaccia sul cortile offre l’idea di come era il collegio al tempo del Murialdo: l’unica ala costruita era quella rivolta verso Corso Palestro. Sugli altri lati del cortile vi erano delle tettoie o altre costruzioni molto dimesse adibite a magazzino e talvolta a laboratorio. 

I busti in marmo del Murialdo, di don Reffo e di don Costantino sovrastano l’ingresso al cortile.

Salendo al primo piano, si può visitare la Mostra-Museo sulla vita e la figura di san Leonardo Murialdo, all’interno della quale si conserva la camera del “Rettore”, rimasta sostanzialmente intatta, anche nell’arredo. 

Al secondo piano si trova la Cappella di San Giuseppe nella quale il 19 marzo 1873 venne fondata la congregazione. 

La cappella, vero cuore della giovane congregazione, fu successivamente ingrandita e impreziosita con opere pittoriche e di intaglio, splendida testimonianza del livello artistico a cui era pervenuta la scuola di pittura, scultura ed ebanisteria del Collegio Artigianelli. 

La decorazione fu iniziata dal confratello laico giuseppino Giovanni Massoglia, il quale dipinse gli angeli che sorreggono gli stemmi della congregazione, le vele delle lunette e tutta la decorazione della volta. 

Egli però morì prima di terminare l’opera, eseguendo soltanto due lunette, quella di Adamo e quella di Abele. Le altre furono completate da Pietro Favaro nel 1973 in occasione del centenario della congregazione. 

L’altare era originariamente sormontato da un quadro di San Giuseppe, in forma ovale, oggi conservato a Roma nella Casa Generalizia dei Giuseppini. L’attuale pala d’altare con San Giuseppe in trono è ugualmente di Reffo: risale al 1892 e fu completata nel 1894. 

L’altare è un finissimo lavoro di intaglio e di intarsio, opera di Massoglia e dei suoi allievi. La predella, è un mosaico in fondo di noce, con intarsi di più di trenta qualità di legno pregiato. Tutta l’opera (altare e predella) fu ammirata e premiata all’Esposizione Nazionale di Torino del 1884. 

Le artistiche vetrate del pittore Piero Dalle Ceste furono eseguite anch’esse in occasione del centenario della congregazione nel 1973. Rappresentano la fondazione della congregazione, l’apostolato del Murialdo fra i giovani e gli emblemi araldici del Murialdo e della congregazione (in sacrestia). 

In quella che oggi è una sacrestia e che ai tempi del Murialdo era il “presbiterio” della prima cappella dell’Immacolata (quella dei ragazzi), è stato ricollocato l’altare al quale tante volte il Murialdo, don Reffo e don Costantino celebrarono messa per i loro ragazzi.

Ritornati al primo piano, si può visitare l’ala su via Juvarra, costruita a partire dal 1910. Vi si trova la cappella dell’Immacolata, progettata dal confratello Giovanni Massoglia. L’altare in marmo, pure del Massoglia, fu inaugurato nel 1916, in occasione del cinquantesimo anniversario di ordinazione sacerdotale di don Reffo. La pala d’altare, rappresentante l’Immacolata, fu dipinta da Enrico Reffo nel 1915. 

Ai lati del presbiterio sono collocate le statue del Sacro Cuore e di San Giuseppe, opera dello scultore Anacleto Barbieri, della Scuola Reffo (1929). 

In fondo alla chiesa, a sinistra, una colonna sorregge il busto di don Cocchi, fondatore del collegio. Le sue ossa, esumate dal Cimitero Generale di Torino, furono qui collocate il 13 maggio 1917. 

Il piano sottostante la cappella dell’Immacolata è occupato dal Teatro, intitolato a don Cocchi e inaugurato nel 1913 in occasione del centenario della sua nascita. La Compagnia Fiaschi vi si produsse in molte rappresentazioni che resero rinomata la tradizione teatrale degli Artigianelli, grazie soprattutto alle commedie e agli atti unici scritti da don Reffo e alle scene dipinte da suo fratello, il pittore Enrico. 

  • Via Assarotti, angolo Via Bertola – Torino

La chiesa di Santa Barbara, come anche il Collegio Artigianelli, sorge all’interno di quella zona della città prima occupata dalla Cittadella, fortezza militare assai imponente, costruita nel sec. XVI e definitivamente abbattuta (eccetto il Mastio) nel 1856-1857 per far posto alla crescita urbana verso sud-ovest. 

Dentro la Cittadella c’era una chiesa dedicata a Santa Barbara, patrona degli artificieri e degli artiglieri. L’attuale chiesa, costruita tra il 1867 e il 1869, sostituisce appunto quella che fu abbattuta insieme alla Cittadella militare di cui faceva parte. E’ opera bizantineggiante dell’architetto Pietro Carrera. 

E’ la parrocchia nel cui territorio si trova il Collegio Artigianelli. Qui si celebrarono i funerali del Murialdo, il 1° aprile 1900. Una folla grandissima sfilò in corteo e si riversò poi in chiesa, riempiendola fino all’inverosimile. Molti accompagnarono la salma fino al Cimitero Generale (o Monumentale) di Torino, assistendo alla sua sepoltura nella tomba di famiglia. 

Il Murialdo celebrò spesso la messa in questa chiesa. Il sacrestano affermò di non aver mai visto un prete «che prima e dopo la celebrazione della messa facesse preghiere così lunghe». 

A destra di chi entra si trova l’altare della Madonna di Pompei. Il quadro della Madonna del Rosario (1894) è di Enrico Reffo. L’altare fu disegnato e scolpito dal confratello laico giuseppino Giovanni Massoglia. 

L’altare seguente conserva una reliquia di san Leonardo, l’omero sinistro, che la congregazione ha voluto donare alla chiesa in segno di riconoscenza per aver custodito le spoglie del fondatore dal 1917 al 1971.

Dopo la porta dell’ingresso laterale si vede la parte superiore del monumento sepolcrale del Murialdo, innalzato nel 1926. Il disegno è di Anacleto Barbieri (Scuola Reffo), l’esecuzione del prof. Bosco. L’edicola sorretta da colonne e da mensole era già stata collocata sulla tomba del Murialdo al Cimitero Monumentale di Torino, insieme al busto del Murialdo che ora sta al centro del porticato del Collegio Artigianelli. Questo che si trova qui in Santa Barbara è una copia eseguita dal confratello Massoglia. 

I due bassorilievi laterali ricordano l’attività del santo tra i ragazzi poveri e abbandonati. Ai piedi del monumento c’era il sarcofago, che ora si conserva, vuoto, nel Collegio Artigianelli. 

Il 6 giugno 1971 le spoglie del Murialdo furono trasferite al santuario di Nostra Signora della Salute.

In fondo alla navata destra, chiusa da una porta, si trova la cappella della Madonna della Misericordia. Essa ricorda l’apparizione della Madonna al contadino Antonio Botta, avvenuta a pochi km da Savona, il 18 marzo 1536, nel luogo in cui oggi sorge il santuario caro al Murialdo per avervi varie volte pregato durante la sua permanenza nel collegio dei Padri delle Scuole Pie. Il Murialdo si tratteneva spesso per la preparazione e il ringraziamento della messa in questa cappella che gli ricordava il santuario di Savona e che portava un titolo mariano caro al suo cuore e vicino alla sua esperienza spirituale. 

Passando ora alla navata sinistra, di fronte all’ingresso della sacrestia si incontra il luogo della prima sepoltura del Murialdo in questa chiesa (1917). Fu approntato un loculo sotto il pavimento, chiuso da una lapide, ancora oggi visibile, con la scritta “Hic ossa sacerdotis Leonardi Murialdo”. In seguito la tomba fu ornata con una cancellata di legno e con l’edicola ed il busto che già si trovavano presso la sepoltura di famiglia al Cimitero Generale e che ancora oggi abbelliscono il monumento funebre del 1926. 

Avviandosi verso l’uscita (porta principale) si passa davanti all’altare del Sacro Cuore, il primo della navata sinistra per chi entra in chiesa. La pala d’altare (1888) è opera di Enrico Reffo. Marmi, altare e balaustre sono di Giovanni Massoglia.

  • Via Garibaldi, 31 – Torino

L’abitazione in cui il Murialdo nacque il 26 ottobre 1828 era situata nel palazzo ad angolo tra Via Garibaldi e Via Stampatori. Il nome di Garibaldi venne dato alla via solamente nel 1882, dopo la morte del capo dei Mille. Prima la strada si chiamava Dora Grossa.

L’appartamento della famiglia Murialdo era al terzo piano. Alcune finestre davano su Via Stampatori, altre su Via Dora Grossa. Per ovvie ragioni di leggibilità la lapide che ricorda la nascita del Murialdo è stata posta all’altezza del primo piano. 

Il settecentesco palazzo San Martino della Motta (poi Balbo Bertone di Sambuy), nel quale si trovava la casa del Murialdo, si affaccia su Via Garibaldi con i numeri 31 e 33. Si poteva accedere all’appartamento dal n. 31 di quella che era Via Dora Grossa, ma più comunemente i Murialdo utilizzavano l’ingresso di Via Stampatori, n. 10, ora non più numerato, perché chiuso e occupato da un negozio. 

L’appartamento dei Murialdo era ampio ed elegante. Nel testamento lasciato dal padre di Nadino lo si descrive e vi si nominano almeno 12 diversi ambienti: ingresso, sala di ricevimento, due salotti, sala da pranzo, cucina, studio, corridoio e quattro camere da letto. In più c’erano due solai ed una ben fornita cantina. Si deve ricordare che la famiglia Murialdo era numerosa: padre, madre, sei figlie (una era morta bambina) e due figli.

L’infanzia del Murialdo fu rattristata dalla morte del padre, avvenuta il 15 giugno 1833, a 56 anni, quando Leonardo non aveva ancora cinque anni e la sorella più piccola, l’ultima della famiglia, non era ancora giunta al terzo.

Da questa casa Leonardo ed Ernesto partirono per recarsi in collegio a Savona, la sera del 26 ottobre 1836. Non sarebbero più tornati a Torino fino all’estate del 1843. 

Da qui partirono anche le sue sorelle, per il matrimonio, finché Ernesto e Leonardo, rimasti soli in casa, nel 1858 si trasferirono in altri appartamenti, a seconda degli anni, in piazza Maria Teresa, via Cavour, via Po.

Intanto in questa casa era morta mamma Teresa, il 9 luglio 1849, senza vedere l’ordinazione sacerdotale di Nadino, che in quel tempo aveva appena terminato il quarto dei cinque anni del corso teologico. 

  • Via Garibaldi, angolo Via delle Orfane – Torino

Fu edificata nel 1530 sul luogo di una precedente chiesa medievale e poi più volte restaurata ed abbellita nel corso del Settecento e dell’Ottocento. 

L’interno della chiesa, così come lo vediamo oggi, non corrisponde del tutto a quello del tempo del Murialdo, a causa delle trasformazioni che l’edificio subì tra Ottocento e Novecento. San Leonardo descrive questa chiesa nel suo Testamento spirituale riferendosi all’epoca della sua giovinezza e ricordando gli eventi del suo battesimo (1827), della prima confessione, della confessione dopo il rientro da Savona (1843), della predica che lo orientò verso la vocazione sacerdotale (alla fine del 1843), della sua prima messa (1851). 

Ecco dunque come il Murialdo ricorda la sua chiesa parrocchiale, quasi sotto forma di preghiera. 

«Entro nel tuo tempio, o mio Dio. Che impressione di pace e di amore! Infatti qui tutto mi parla di amore: di quell’amore che hai avuto e che hai ancora per me, e di quell’amore che io ti devo». 

Appena entrati, a destra, c’è il fonte battesimale, dove Leonardo fu battezzato la sera del 27 ottobre 1828. Una lapide ricorda l’avvenimento.

«Ecco il sacro fonte dove il tuo amore mi donò l’innocenza e mi adottò come tuo figlio per mezzo del santo battesimo». 

Continuando nella navata di destra, il Murialdo ricorda il confessionale dove avvenne la sua prima confessione e soprattutto la confessione del suo ritorno a Dio (settembre 1843), dopo la crisi che aveva attraversato nell’ultimo anno trascorso a Savona.

«Avanzo di qualche passo e vedo il sacro tribunale dove, per mezzo del tuo ministro, l’abate Pullini, mi hai ridonato una prima volta la purezza e la pace del cuore nella mia infanzia, ma soprattutto quando, nel 1843, al mio ritorno dal collegio di Savona, vero figlio prodigo, carico di mille peccati, io venni a confessarti: “Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te”. Allora hai aperto il tuo cuore paterno alla mia preghiera, hai ascoltato questa preghiera e sei rientrato in possesso di un’anima destinata ad essere tuo tempio, ma che da così lungo tempo non era stata che la dimora di demoni. Oh, come la tua infinita misericordia mi divenne sensibile allora!». 

«Più innanzi c’è il sacro pulpito. E’ la sotto che, per la prima volta, tu mi facesti sentire la tua chiamata alla vita religiosa. Il timore dell’inferno e il rispetto umano, che in collegio mi aveva trascinato per i sentieri della dannazione eterna, furono le catene con le quali mi hai attirato a te. Io pensavo che, se fossi stato lontano dal mondo, non avrei più avuto difficoltà a causa del rispetto umano. Il mio primo pensiero fu di chiedere di diventare frate cappuccino, ma ne fui dissuaso dal canonico Renaldi che mi consigliò di abbracciare la vita sacerdotale dove non avrei avuto da temere il rispetto umano più che tra i cappuccini». Il “rispetto umano” di cui parla il Murialdo è il timore che egli provava di fronte ai suoi compagni di collegio a Savona, che lo prendevano in giro per la sua bontà e il suo impegno. Egli ne fu talmente condizionato da entrare in crisi e mutare in peggio molti suoi comportamenti. 

Seguendo la cronologia indicata dal Murialdo stesso, si può avanzare l’ipotesi che la predica ascoltata sotto il «sacro pulpito», quella in cui egli «per la prima volta»,  mosso dal «timore dell’inferno», sentì la «chiamata alla vita religiosa», sia avvenuta verso la fine del 1843. 

Per san Leonardo fu l’inizio della vocazione, sacerdotale prima e religiosa poi. Il pulpito, nella sua forma attuale e nella sua collocazione, risale ai grandi lavori che a partire dal 1885 e fino ai primi del Novecento trasformarono radicalmente la chiesa di San Dalmazzo. 

Ai tempi del Murialdo invece il pulpito era più avanti, appoggiato al pilastro della crociera.

Nella chiesa di San Dalmazzo c’è ancora un altro luogo “murialdino”: è la cappella della Madonna di Loreto, a sinistra dell’altare maggiore. E’ un luogo che  al Murialdo ricordava un periodo drammatico dal punto di vista psicologico, seguito alla decisione di farsi sacerdote. Proprio per essere fedele alla strada che aveva appena intrapreso, Leonardo aveva intensificato il suo impegno spirituale e ascetico, mentre andava forse crescendo in lui il senso di colpa per i peccati commessi e ancor più per aver “abbandonato” Dio durante la crisi di Savona. Le letture spirituali di allora, tutte incentrate sulla morte, sull’eternità e sulla paura dell’inferno si aggiunsero nel causargli probabilmente uno stato di ansia e di angoscia che gli fece temere un grave ed irreversibile esaurimento nervoso. Il ricorso a Maria, in questa cappella, gli portò la liberazione. 

Ma la chiesa di san Dalmazzo è legata al ricordo forse più bello della vita di San Leonardo: la sua prima messa. «Il giorno 21 settembre 1851, festa di San Matteo, ebbi la gloria e la gioia di celebrare la prima messa nella chiesa di San Dalmazzo. Come ero felice! Ma tra i parenti che mi facevano corona non c’era mia madre. Ella era andata in paradiso il 9 luglio 1849». 

«In quel giorno felice, mio Dio, tu mi hai dato la grazia di un abbandono assoluto a te. Ero staccato dai piaceri del mondo, ero tutto tuo!».

Ritornati al centro della chiesa, si possono ammirare le pareti del transetto e della navata centrale, decorate a encausto su fondo oro da Enrico Reffo che vi volle raffigurare una lunga teoria di santi, uomini e donne, che converge verso il presbiterio. Nel transetto, l’altare destro, dedicato a San Paolo, è impreziosito da dipinti, sempre di Reffo, che raffigurano l’Apostolo, San Carlo Borromeo, san Francesco di Sales e altri santi. Sant’Antonio Maria Zaccaria, fondatore dei Barnabiti, un tempo custodi della chiesa, è ritratto in cotta e stola, inginocchiato e nell’atto di indicare l’Eucaristia. A destra, anch’esso inginocchiato, con abiti episcopali, vi è il barnabita sant’Alessandro Sauli. Di Reffo e della sua scuola sono pure i quattro evangelisti della lunetta a vetri che sovrasta l’altare e in generale tutta la decorazione della chiesa. 

Reffo ha lasciato il suo autoritratto nel transetto sinistro, tra i “Sancti discipuli Domini”: è il terzo da destra; la sua figura appare sopra il capo di un uomo chinato e a torso nudo. 

In prossimità dell’uscita, si noti, nella navata sinistra (destra per chi esce), l’ultima cappella, con tre dipinti di Reffo, compreso quello centrale del Sacro Cuore, del 1881, e la cancellata eseguita dai fabbri del Collegio Artigianelli, che vi apposero la firma: “Collegio Artigianelli, Torino 1882”.

Immediatamente dopo, addossato al muro, si incontra il busto del pittore Reffo. 

  • Via delle Orfane, angolo Via Santa Chiara – Torino

La piccola chiesa di Santa Chiara, annessa al monastero delle Clarisse, venne edificata nel 1745 da Bernardo Vittone. Alle Clarisse subentrarono nel 1824 le Suore della Visitazione. Ora monastero e chiesa non ospitano più alcuna congregazione religiosa. 

Il Murialdo parla di questa chiesa nel suo Testamento spirituale. Egli la chiama “chiesa di Santa Chiara”, ma anche “chiesa della Visitazione”, poiché essa ai suoi tempi apparteneva alle Suore della Visitazione, anche se più propriamente questo era il nome di un altro edificio sacro, quello in cui fu ordinato sacerdote. 

«Quanto amo la piccola chiesa della Visitazione! Il 6 novembre 1845, festa di san Leonardo, ebbi la gioia e l’onore di vestire l’abito clericale benedetto dall’Abate Pullini nella chiesa di Santa Chiara, annessa al convento delle religiose della Visitazione, di cui l’Abate era il padre spirituale. Tutta la famiglia, mia madre per prima, era presente. Nessuno, eccetto il mio confessore, l’Abate Pullini, sapeva nulla del mio triste passato». 

Ma la crisi di Savona era ormai superata e Leonardo aveva già fatto l’esperienza di «Dio infinitamente buono, infinitamente misericordioso» che aveva perdonato il suo precedente abbandono e anzi lo aveva scelto «per la più sublime, la più divina vocazione, per la vita sacerdotale».

Sembra tuttavia che il Murialdo si sbagli nel collocare la vestizione al 6 novembre. Infatti i documenti ufficiali, conservati sia nell’Archivio dell’Arcidiocesi di Torino sia in quello della Casa Generalizia di Roma, indicano che la funzione avvenne il giorno successivo, venerdì 7 novembre. 

Comunque sia, indossato l’abito sacerdotale, il Murialdo era pronto per iniziare i corsi di Teologia presso l’Università. 

  • Piazza della Consolata – Torino

E’ la chiesa più nota e cara ai torinesi. La facciata, neoclassica, è del 1860, ma la chiesa ha una storia molto più antica. 

Secondo la tradizione, il quadro della Madonna che vi si venera (altare principale) apparteneva alla vecchia chiesa di Sant’Andrea, ormai in rovina. Andato perduto sotto i ruderi dell’edificio, fu ritrovato da un cieco di Briançon (Jean Ravache) il 20 giugno 1104. La “riscoperta” dette l’avvio alla costruzione, sul medesimo luogo, di una nuova chiesa, in stile romanico (ne resta il campanile), poi sostituita dall’attuale santuario barocco, iniziato da Guarino Guarini nel 1678 e completato nelle linee essenziali vent’anni dopo la sua morte, nel 1703. La cupola fu terminata nel 1717. L’altare maggiore è di Filippo Juvarra (1729). L’interno subì ulteriori importanti modifiche tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. 

L’interno è al tempo stesso complesso ed armonico, essendo in pratica costituito da tre diverse chiese attigue e comunicanti. Appena entrati, ci si trova nella chiesa di Sant’Andrea. Conserva la configurazione ellittica progettata da Guarino Guarini. L’altare principale è sulla sinistra: vi si  può ammirare il dipinto che raffigura il martirio di Sant’Andrea, del Reffo (1904). 

L’altare di San Giuseppe Cafasso è ornato da un quadro di Luigi Guglielmino, mentre l’urna in bronzo che contiene le reliquie del santo è stata eseguita da Anacleto Barbieri (entrambi gli autori appartenevano alla Scuola Reffo).

Ben a ragione Cafasso è sepolto in questa chiesa, cuore religioso di Torino, egli che ebbe una parte così notevole nella formazione spirituale e pastorale di tante generazioni di sacerdoti, suoi allievi al Convitto Ecclesiastico di San Francesco di cui fu rettore dal 1848 al 1860, anno della morte. Quel Convitto continuò poi qui alla Consolata, sotto la guida del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei Missionari e delle Missionarie della Consolata.

Alcuni scalini ed una cancellata immettono nel vero e proprio santuario della Consolata, di forma esagonale, progettato da Guarini nel sec. XVII e ingrandito nel 1899 con le quattro cappelle ovali che lo circondano.

Il grandioso altare di Filippo Juvarra incornicia e sorregge il quadro della Madonna Consolata (Consolatrice degli afflitti), olio su lino, risalente alla fine del XV secolo, imitazione dell’icona di S. Maria del Popolo a Roma (Piazza del Popolo). 

Mentre ci si avvia verso l’uscita, si nota a sinistra la cappella della Madonna delle Grazie, alquanto al di sotto del livello della chiesa di Sant’Andrea. Qui, tra le rovine dell’antico edificio sacro, secondo la tradizione, sarebbe stata ritrovata l’effigie della Madonna da parte del cieco di Briançon il 20 giugno 1104.

Don Reffo racconta che la madre di Leonardo era molto devota della Consolata e aveva fatto dono dei suoi diamanti al santuario. Alla Consolata poi essa affidò i suoi due figli, Ernesto e Nadino, prima della loro partenza (1836) per il collegio di Savona. 

Il ricordo di questo “affidamento” è presente anche nel Testamento spirituale del Murialdo ed è accompagnato dal ringraziamento alla Madonna, la cui protezione si fece sentire durante la crisi giovanile a Savona.

Diventato sacerdote e poi Rettore del Collegio Artigianelli, il Murialdo partecipò, qui alla Consolata, a molte delle manifestazioni religiose che avevano nel santuario il loro centro, prima fra tutte la festa liturgica, con la solenne processione, il 20 giugno. 

Alle porte di questa chiesa egli venne parecchie volte a chiedere l’elemosina, per i suoi ragazzi del Collegio Artigianelli. Andò anche alle porte di altre chiese, specialmente in quaresima, ed era un gesto che costava tantissimo a uno come lui, proveniente da una famiglia agiata e ben conosciuta in città. 

La devozione del Murialdo alla Consolata si manifestò particolarmente in occasione della fondazione della Congregazione. Egli volle che si celebrassero parecchie messe nel santuario per ottenere la protezione di Maria sul gruppo di religiosi che stava per nascere. Il 19 marzo 1873, al mattino, avvenne la fondazione. Nel pomeriggio, i primi sei giuseppini e i primi due novizi si recarono alla Consolata per ringraziare la Madonna. 

Del resto la stessa idea centrale del Murialdo sulla devozione alla Madonna, quella di Maria mediatrice di ogni dono e di ogni grazia che ci viene da Dio, trovava uno dei suoi fondamenti proprio nell’orazione liturgica della festa della Consolata, approvata da Leone XIII nel 1885: «O Signore nostro Gesù Cristo, che con ineffabile provvidenza hai disposto che noi otteniamo tutte le grazie per mezzo della Madre tua Maria, concedici propizio che sempre siamo assistiti dall’aiuto e dalla protezione di colei che solennemente onoriamo sotto il titolo soavissimo della Consolazione».

Ogni sabato egli si recava a pregare in questo santuario e desiderava che i confratelli di Torino, potendolo, facessero altrettanto; quelli delle altre case poi li esortava a visitare «la cara Madre di tutte le consolazioni» in occasione dei loro viaggi a Torino.

Tornati all’esterno, si osservi, a sinistra dell’ingresso del santuario (e a destra per chi esce), la colonna in granito sorreggente una statua della Vergine. Si tratta dell’adempimento di un voto fatto dai Torinesi alla Madonna, quando la città di Torino fu risparmiata dal colera del 1835 che si era invece diffuso in molte altre parti del regno di Sardegna.

Nel giardinetto adiacente alla parete sinistra del santuario si conserva un pilastrino con l’immagine della Consolata. Era uno dei tanti collocati in segno di ringraziamento lungo quella che era stata la linea di combattimento durante il minaccioso e per fortuna vano assedio francese del 1706. Altri pilastrini di questo tipo sono custoditi  nella chiesa di Nostra Signora della Salute. 

In prossimità dell’incrocio tra Via della Consolata e Via Giulio, è visibile l’angolo nord-occidentale della cinta muraria romana, riportato alla luce nel 1884.

  • Via XX Settembre, angolo Via Arcivescovado – Torino

E’ il capolavoro di Francesco Lanfranchi, che la edificò nella seconda metà del ’600 per la suore della Visitazione al cui convento era annessa. Le suore furono poi cacciate dai francesi nel 1802, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi. Più tardi il convento passò ai Padri della Missione, fondati da San Vincenzo de Paoli, i quali officiano tuttora la chiesa. 

Nella cappella di destra una lapide ricorda che questa chiesa è legata alla memoria dell’ordinazione sacerdotale del Murialdo. L’icona (il Sacro Cuore invocato da San Vincenzo de Paoli, 1898) è di Luigi Guglielmino, allievo del Reffo.

Durante la teologia il Murialdo frequentava questa chiesa perché qui aveva sede la Compagnia di San Tommaso d’Aquino a cui egli si era iscritto. Essa radunava molti chierici e sacerdoti (un centinaio e anche più), con intenti formativi e religiosi. I partecipanti si riunivano ogni domenica, dalle 7,30 alle 8,30, per la preghiera, la lettura spirituale e una conferenza tenuta dal direttore. 

Sempre presso la Casa della Missione e presso la chiesa della Visitazione fu istituita nel 1852 l’Accademia biblico-oratoria. Il Murialdo, già sacerdote, prese parte saltuariamente alle sue riunioni settimanali (il giovedì) sotto la guida di un noto padre Lazzarista, Giuseppe Buroni. Si studiava la Bibbia e ci si esercitava ad una predicazione nutrita di Sacra Scrittura ed accessibile al popolo. Anche don Eugenio Reffo e don Giulio Costantino fecero parte, alcuni anni dopo, di questo nuovo centro di formazione e di impegno sacerdotale.

Ogni anno i chierici “esterni”, cioè non residenti in seminario, facevano gli esercizi spirituali nella Casa della Missione in preparazione alle ordinazioni al suddiaconato, al diaconato e al presbiterato. A questo scopo servivano le due cappelle interne della casa. 

Qui dunque, nella casa della Missione, il Murialdo si preparò con gli esercizi spirituali alle sue ordinazioni che ricevette non in questa chiesa, ma in una cappella interna della casa. Egli fu ordinato suddiacono il 21 settembre 1850, poi diacono il 5 aprile 1851 ed infine sacerdote il 20 settembre 1851. 

Nel Testamento spirituale il Murialdo legge la storia della sua vocazione come un dono grande ed inaspettato da parte di Dio. 

«Il buon Dio, veramente buono con me, mi ha quasi forzato a seguire le due più sublimi vocazioni che ci siano al mondo: quella sacerdotale e quella religiosa, per non parlare di quella più necessaria, la vocazione cristiana. 

Quanto alla vocazione sacerdotale, io non ci avevo mai pensato.

Fanciullo, sognavo di diventare un giorno ufficiale. In collegio progettavo di studiare diritto, perché alcuni Padri, poco prudenti, mi lusingavano dicendomi che sarei diventato ministro di stato.

Durante il corso di filosofia pensavo di studiare le scienze matematiche, perché vedevo che si avvicinava l’epoca della fortuna degli ingegneri.

Tuttavia Dio ha scelto me! Egli mi ha chiamato, mi ha perfino forzato all’onore, alla gloria, alla felicità ineffabile di essere suo ministro, di essere «un altro Cristo», di essere «dopo Dio, un Dio terreno».

 

  • Corso Vittorio Emanuele II, 13 – Torino

In Corso Vittorio Emanuele II, tra Via Madama Cristina e Via Ormea, si trova la chiesa di San Giovanni Evangelista (San Giovannino). La chiesa venne edificata tra il 1877 e il 1882 in stile romanico-lombardo da Edoardo Arborio Mella per iniziativa di don Bosco. La pittura del catino absidale (imitante un mosaico bizantino), di Enrico Reffo, rappresenta Gesù in croce che indica alla Madonna il discepolo Giovanni affidandoglielo come figlio. Al pennello del Reffo sono dovuti anche gli affreschi del presbiterio concernenti l’evangelista Giovanni, i medaglioni in cui sono effigiati i vescovi dell’Asia Minore dei quali si parla nell’Apocalisse (sei nella navata centrale e uno sulla facciata interna, sopra l’organo) e il quadro di San Giuseppe (1882), che si trova sul secondo altare della navata destra. 

Qui, nel luogo ora occupato dall’altare e dall’abside della chiesa, aveva sede l’Oratorio San Luigi, fondato da don Bosco nel 1847. Era il terzo della città, dopo quello dell’Angelo Custode aperto da don Cocchi nel 1840 e quello di San Francesco di Sales, iniziato dallo stesso don Bosco nel 1844. 

A dirigerlo si erano susseguiti don Giacinto Càrpano, don Pietro Ponte e poi Paolo Francesco Rossi, giovane sacerdote, coetaneo ed amico di  Leonardo Murialdo che lo andò ad aiutare nel catechismo dei ragazzi. Rossi però morì prematuramente il 5 novembre 1856 e per parecchi mesi l’oratorio non ebbe un sacerdote che se ne assumesse la responsabilità. Fu portato avanti dall’avvocato Gaetano Bellingeri, «un laico che aveva il cuore di apostolo», anch’egli coetaneo del Murialdo e suo compagno nel corso di filosofia (liceo). 

L’oratorio si apriva alla domenica ed offriva ai ragazzi della periferia sud di Torino la possibilità di partecipare alla messa, di confessarsi, di giocare, di ricevere l’istruzione catechistica che non trovavano nelle loro parrocchie, spesso lontane, e non solo geograficamente, dai loro interessi e dai loro problemi. 

Fin dai primi tempi l’affollamento era veramente grande: 450-500 ragazzi dicono le fonti, e si stenta a credere, visto la pochezza delle strutture.

Il Murialdo fece il suo ingresso in oratorio come direttore la domenica 26 luglio 1857. In quaresima l’oratorio apriva i battenti tutti i giorni e non soltanto la domenica. 

Per molti di quei ragazzi, che non frequentavano le poche scuole comunali esistenti, venne aperta una scuola elementare, che raccoglieva dai 70 ai 90 ragazzi, a seconda dei periodi dell’anno. 

Il Murialdo e i laici delle Conferenze di San Vincenzo sostenevano le spese per i lavori edilizi, per il funzionamento della scuola, per lo stipendio dei maestri, per i premi ai ragazzi, molti dei quali venivano aiutati anche finanziariamente con qualche sussidio alle famiglie, nello stile della San Vincenzo. 

Da Valdocco venivano poi, ogni domenica, i chierici salesiani, i quali si ponevano alle dipendenze del Murialdo per il catechismo e i giochi.

Per il Murialdo il periodo bello e intenso del san Luigi si concluse nel settembre del 1865 quando egli partì per trascorrere un anno di studio nel seminario parigino di San Sulpizio, arricchendo così di una nuova esperienza il suo bagaglio apostolico, in vista dei futuri  impegni in favore dei giovani. 

  • Strada Sant’Anna, 79 – Torino

La scritta “Villa Murialdo” compariva sui pilastri del cancello al tempo in cui appartenne ai discendenti della famiglia Murialdo, cioè fino al 2000. Prima era chiamata “il Rubino”, dal nome degli antichi proprietari. Fu acquistata da Franchino Murialdo, padre di Leonardo, nel 1824. Comprendeva un terreno abbastanza vasto con casa civile e rustica, vigna, campo, prato, giardino e bosco. 

Alla morte di Franchino Murialdo, la villa passò in eredità ai due figli maschi, Ernesto e Leonardo, i quali, insieme alla mamma, finché visse, e alle sorelle, vi trascorrevano la villeggiatura estiva, o periodi di convalescenza durante qualche malattia. 

La torretta sopraelevata sul lato nord è dell’Ottocento. La facciata (lato est) è ornata da fregi in stile liberty che sono successivi ai tempi di san Leonardo. Al primo piano, la seconda finestra partendo da sinistra è quella della stanza del santo.

A pian terreno c’erano la sala da pranzo, con un bel bigliardo, la cucina, un’altra sala con un pianoforte (cembalo) e la cappella nella quale il Murialdo celebrava la messa.

La villa fu meta di varie passeggiate dei ragazzi dell’Oratorio San Luigi, del San Martino e del Collegio Artigianelli. Qualche volta anche don Bosco vi condusse i suoi giovani.

Un appuntamento fisso alla villa, per il Murialdo, era quello della sera dei Santi, con tutti i familiari, per la recita del rosario in suffragio dei propri defunti: fu un’usanza alla quale egli cercò di mantenersi fedele, fin quando la salute glielo permise, cioè fin quasi al termine della sua vita.

L’accoglienza alla villa doveva essere squisita e cordiale, se il Murialdo ne prendeva spunto per parlare ai suoi Giuseppini dell’affabilità e dello spirito di famiglia. Egli desiderava che si creasse nella comunità un clima di gioia e di accoglienza festosa, affinché vi si trovasse non una pietanza in più a tavola, ma, come si usava dire, soprattutto un piatto di buona cera: «alla villa, presso mia madre, non si facevano grandi pranzi, ma si trovava sempre un piatto di buona cera».

  • Via Verdi, 8 – Torino

Il Palazzo dell’Università, voluto da Vittorio Amedeo II, fu inaugurato nel 1720. La facciata principale, in cotto, è quella su Via Verdi, opera di Filippo Juvarra. Assai scenografici il cortile a portico e la loggia. 

Il Murialdo cominciò il quinquennio teologico universitario nell’autunno del 1845. Le materie del primo anno erano: Istituzioni teologiche (= teologia fondamentale), Istituzioni bibliche (= Introduzione alla Sacra Scrittura), Teologia morale, Teologia scolastico-dogmatica, Sacra Scrittura. Erano poi attivate delle lezioni speciali di morale, chiamate appunto “conferenze di morale”. Altre materie, pur importanti, allora non venivano studiate (Storia della Chiesa, Patrologia, Teologia pastorale, Liturgia). Quest’ultima era solo in parte sostituita dalle riunioni del giovedì in cui gli studenti dovevano partecipare alla cosiddetta “scuola di cerimonie”, che Leonardo seguiva a Santa Maria di Piazza. 

Proprio in quell’anno 1845-46 cominciava a scomparire il metodo tradizionale dell’insegnamento tramite dettatura da parte dei professori, sostituito progressivamente dall’uso di trattati a stampa, di cui gli stessi docenti erano autori. Lo imponeva un provvedimento del Magistrato della Riforma, l’equivalente dell’attuale Ministro dell’Istruzione. 

Anche qui, come nel corso di filosofia, funzionava il sistema dei “ripetitori”. Durante la scuola gli studenti prendevano appunti e poi, durante la “ripetizione”, il ripetitore interrogava gli allievi sulla lezione del giorno prima ed in seguito riassumeva e rispiegava l’ultima lezione, assegnandola poi da studiare a memoria. 

Al termine del quinto anno, l’8 maggio 1850, il Murialdo si laureò in teologia. La laurea non consisteva nella discussione di una tesi precedentemente redatta, ma in un vero e proprio esame su varie parti di tutto il curriculum teologico. All’esame del Murialdo assistette anche il Ministro della Pubblica Istruzione, che allora era Cristoforo Mameli. Era quello un segno di distinzione, riservato ai due migliori allievi di ogni Facoltà.

Da quel momento egli fu “teologo”: quel titolo lo distingueva da chi terminava gli studi senza i gradi accademici e veniva semplicemente chiamato “don”. 

  • Piazza Santa Giulia, 4-8 – Torino

Si trovava di fianco alla chiesa di Santa Giulia. L’edificio sacro fu costruito in stile neogotico tra il 1863 e il 1866 con il determinante concorso finanziario della marchesa Giulia di Barolo. Il progetto fu dell’ing. Giovan Battista Ferrante, collaboratore del Murialdo all’Oratorio San Martino e insegnante di disegno al Collegio Artigianelli. 

La Casa famiglia occupava il caseggiato a destra della chiesa (per chi guarda la facciata), più precisamente i numeri civici 4, 6, 8 di Piazza Santa Giulia, in angolo con via Balbo, sulla quale pure aveva alcuni ingressi. Nonostante le notevoli trasformazioni che subì in seguito, per essere adibito ad uso di abitazioni private e di uffici, l’edificio della Casa famiglia conserva ancora l’impronta conferitagli da colui che lo aveva progettato e costruito, l’ing. Carlo Peretti, nipote del Murialdo. 

L’idea di una Casa famiglia per giovani operai venne al Murialdo durante i suoi frequenti viaggi in Francia. Egli pensò di portare questa istituzione anche in Italia, dove ancora non ne esisteva alcun esempio. 

Con l’aiuto finanziario del nipote Carlo Peretti, il Murialdo affittò uno stabile di fianco alla chiesa di Santa Giulia ed aprì la Casa famiglia nel 1878. Negli anni seguenti l’edificio fu acquistato e progressivamente ingrandito. 

La Casa famiglia era stata pensata anzitutto per i giovani che avevano finito la loro formazione professionale al Collegio Artigianelli. Ormai erano grandi e cominciavano a lavorare, ma non avevano una famiglia ed incontravano quindi gravi difficoltà per il vitto e per l’alloggio. La Casa famiglia era però aperta anche ad altri giovani lavoratori che venivano a Torino in cerca di occupazione. 

Inoltre la Casa famiglia, vero e proprio pensionato per giovani operai, formava come il completamento e il coronamento di tutta l’organizzazione assistenziale facente capo al Collegio Artigianelli. A neanche un anno dall’apertura gli ospiti erano già venti e salirono ben presto a cinquanta. La Casa famiglia offriva loro vitto, alloggio in stanza singola e possibilità di svago per il tempo libero; provvedeva a far lavare, stirare e cucire la biancheria.

Il costo della pensione, nel 1886, era di 36 lire al mese. A quel tempo il salario mensile di un giovane operaio si aggirava sulle 55-65 lire. Pagata la pensione e fatta qualche spesa per l’abbigliamento, ogni giovane ospite della Casa famiglia poteva dunque mettere da parte un piccolo gruzzoletto per il suo futuro. Era un modo per avviare i giovani verso una vita indipendente e nello stesso tempo per continuare a star loro vicini, anche dal punto di vista formativo e religioso, nei primi difficili anni dell’inserimento nel mondo del lavoro. 

Nel 1881 la Casa famiglia fu aperta anche agli studenti, per gli stessi motivi di carattere assistenziale, educativo e religioso. Ma la morte improvvisa (23 dicembre 1883) del “finanziatore” (Carlo Peretti, che aveva solo 38 anni) precipitò il Murialdo in una situazione economica molto grave, che si aggiungeva ai debiti già pesanti del Collegio Artigianelli. 

Le difficoltà finanziarie resero travagliata la vita della Casa famiglia: quella per gli studenti fu in diverse riprese chiusa, riaperta, accorpata a quella degli operai. 

Alcuni progetti non si poterono realizzare (quello di un dormitorio notturno, ad esempio), ma l’opera sopravvisse ancora, per alcuni decenni, fino al 1924. 

  • Cimitero Generale Torino

Il Cimitero Generale di Torino fu costruito tra il 1828 e il 1829 su terreno donato dalla marchesa Giulia di Barolo, mentre il finanziamento venne dal marito, il marchese Tancredi Falletti di Barolo, che era sindaco di Torino e che contribuì con una somma di lire 300.000 (il comune ne aveva stanziate 10.000). Ampliazioni successive avvennero nel 1841, 1866, 1883 e ovviamente anche in seguito. 

Dopo i funerali celebrati nella chiesa di Santa Barbara (1° aprile 1900), la salma del Murialdo fu tumulata nella tomba di famiglia del Cimitero Generale di Torino (prima ampliazione, emiciclo, n. 133 bis).

Qui cominciò ad essere meta delle visite dei confratelli e di altre persone che avevano conosciuto la santità del Murialdo, come ricorda don Reffo: «si è [...] innalzato un modesto e grazioso monumento coll’epigrafe che ricorda la fondazione della Pia Società [di san Giuseppe]. Parecchi dei nostri confratelli talora lo visitano, e vanno su quelle zolle per noi così care a pregarlo pei bisogni più urgenti della Congregazione, ed oso dire non mai senza frutto. 

Ci andarono anche una volta i Missionari della Consolata, e ricordo con figliale orgoglio che quel venerando uomo che è il Canonico Giuseppe Allamano disse a quel prode drappello di apostoli: “Un giorno questa salma uscirà da questa tomba per essere venerata! Dio faccia che la sua parola non sia un semplice voto, ma una vera profezia!”».

Il «modesto e grazioso monumento» di cui parla don Reffo era l’edicola sorretta da colonne e da mensole con il busto marmoreo del Murialdo: il monumento nel suo insieme era stato disegnato dal confratello Giovanni Massoglia, mentre il busto fu scolpito dallo scultore Giuseppe Cerini. Quel monumento e la relativa lapide seguirono poi le spoglie di san Leonardo quando esse nel 1917 furono trasferite a Santa Barbara. 

Sempre all’interno della “prima ampliazione” ci sono altre tombe di parenti del Murialdo. Qui però ci si limita ad indicare la lapide che ricorda la madre di san Leonardo, Teresa Rho (1794-1849). Il testo fu composto da Leonardo stesso. La tomba si trova nel sotterraneo, in corrispondenza della lapide. 

Ritornando nel “cimitero primitivo (quello a forma ottagonale), nella parte “sud”, campo “C”, si può visitare la tomba della Congregazione di San Giuseppe: una cappella funebre imitante in certo qual modo lo stile gotico, con portale in marmo e muri perimetrali in mattoni a vista.

  • Via Vibò, 24 – Torino

Il Borgo Vittoria, nel quale si trova il santuario, trae il suo nome dalla vittoria delle armi piemontesi e austriache contro i francesi durante l’assedio di Torino del 1706 (guerra di successione spagnola). L’assedio aveva seriamente minacciato la città tanto da indurre il duca Vittorio Amedeo II a promettere la costruzione di una chiesa alla Madonna sul colle di Superga in caso di liberazione (la Basilica di Superga è appunto l’adempimento di quel voto). 

Terreno di battaglia era stata soprattutto la zona di Lucento e dell’attuale Borgo Vittoria. L’espansione della città in questa direzione divenne forte alla fine dell’Ottocento. Quando si trattò di costruirvi una chiesa, si pensò di intitolarla a Maria, “Salute”, cioè salvezza della patria. Ma si volle anche ricordarla come “salute degli infermi”, titolo sotto il quale era stata invocata durante il colera “asiatico” che nel 1835 aveva colpito Torino ed in particolare il vicino borgo del Balon (Porta Palazzo). Una nuova ondata di epidemia si era diffusa in Italia nel 1884, risparmiando però Torino e il nascente Borgo che avrebbe dovuto ospitare la nuova chiesa. 

La congregazione dei Giuseppini era ben rappresentata nel comitato che si faceva promotore della costruzione. Vi facevano parte infatti il confratello laico Giovanni Massoglia, pittore, scultore e architetto, e don Reffo col pittore Enrico, suo fratello.

La costruzione del santuario andò avanti a fatica, tra difficoltà di ordine tecnico e soste imposte dalla mancanza di fondi. Il 15 giugno 1890 fu aperta una prima cappella provvisoria e cinque anni dopo, il 21 maggio 1895 si procedette alla posa della pietra fondamentale dell’imponente costruzione (il progetto era dell’ing. Angelo Reycend). Nel 1903 si poté aprire parzialmente al culto il nuovo edificio, ma il rettore della chiesa, monsignor Carlo Giaume morì nel 1929 senza veder completato il “suo” santuario. Aveva però fatto in tempo a cedere tutto il complesso, debiti inclusi, ai Giuseppini, che ne divennero proprietari nel 1927. 

Con l’arrivo dei Giuseppini risorse anche l’oratorio, già aperto dal Giaume. Esso si chiamò “Oratorio San Martino” in ideale continuità con quello che dipendeva dal Collegio Artigianelli e che dal Borgo Dora era finito in Via Aosta n. 4 ed alla fine era stato venduto per pagare i debiti lasciati da monsignor Giaume.

Ripresero anche i lavori per il completamento del santuario. Nel 1934 la cupola era terminata. Nel 1937 fu inaugurato l’altare della Madonna. Al 1959 risalgono invece il nuovo altar maggiore e la sistemazione della Cripta dei Caduti.

Un cortiletto quadrangolare, circondato da portici, crea il giusto distacco tra l’animata vita del quartiere e il tempio mariano. Entrati nel quadriportico, si è davanti alla facciata del santuario. Un grande arco sovrasta il pronao poggiante su due colonne e quasi “custodito” dalle due statue equestri rappresentanti il duca di Savoia Vittorio Amedeo II ed il principe Eugenio di Savoia, suo cugino, comandante delle truppe imperiali che aiutarono il duca a liberare Torino dall’assedio del 1706. 

Il vasto interno è sormontato da un’ampia e alta cupola. Immediatamente a sinistra, il primo ambiente custodisce una riproduzione fotografica della Sindone in grandezza naturale. 

Proseguendo, si incontra il Trittico del Sacro Cuore, opera del pittore Enrico Reffo (1889). Al centro è rappresentato il Sacro Cuore di Gesù, a sinistra San Giuseppe, a destra l’Angelo Custode. 

Mentre si entra nel transetto sinistro, si nota, sulla destra, un quadro di San Martino, vescovo di Tours. Questo dipinto (Reffo, 1868) era la pala d’altare della prima cappella dell’Oratorio San Martino.

In una nicchia del transetto sinistro è stata sistemata una statuina della Madonna. Risale ai tempi in cui si doveva ancora iniziare a costruire la chiesa. Fu collocata su un piccolo basamento, all’interno del terreno che avrebbe dovuto ospitare il futuro edificio sacro, e benedetta il 31 luglio 1887. Da allora i primi borghigiani cominciarono a venerarla con il titolo di Nostra Signora della Salute.

In fondo al transetto sinistro un ampio arco (notare, in alto, i due angeli del Reffo), immette alla scalinata che conduce all’altare di Nostra Signora della Salute. L’altare è opera dell’architetto Chioccarello, della Scuola Reffo (1937). Il quadro di Nostra Signora della Salute (1890) è di Enrico Reffo.

La cripta sottostante all’altare della Madonna custodisce le ossa dei caduti nella battaglia del 1706. Vi è sepolto anche mons. Giaume, fondatore del santuario. 

L’altra parete del transetto ospita uno dei pilastrini, recanti l’immagine della Consolata, che il duca Vittorio Amedeo II aveva fatto collocare lungo le linee francesi due anni dopo la vittoria.

Il quadro di Federico Siffredi, rappresentante la Madonna, Causa nostrae laetitiae, con san Filippo Neri e san Martino, ornava l’altare della nuova chiesa dell’Oratorio San Martino, costruita tra il 1893 e il 1894.

All’architetto Chioccarello si deve anche l’altare principale (1959). 

Nel transetto destro una lapide ricorda che anche San Leonardo Murialdo è legato ai primi inizi di questa chiesa. Il 2 marzo 1889 egli celebrava una messa all’altare della Consolata per «implorare la materna assistenza della Vergine sulla nuova impresa» della costruzione del santuario, tanto caldeggiata da alcuni suoi figli spirituali. Sul muro opposto un’altra lapide conserva la memoria del fondatore del santuario, mons. Carlo Giaume (1843-1929).

In fondo al transetto si giunge alla tomba di San Leonardo Murialdo. Le spoglie del Murialdo furono trasferite in questa chiesa il 6 giugno 1971, dopo essere rimaste per molti anni in quella di Santa Barbara.

L’attuale sistemazione dell’urna fu inaugurata il 24 ottobre 1992. Il progetto è dovuto all’architetto torinese Giuseppe Giordanino. La vetrata policroma che fa da sfondo all’urna è del pittore marchigiano Oscar Piattella ed è stata realizzata dalle vetrerie GIBO di Verona. Il rosso, in basso, accoglie le spoglie di San Leonardo e poi ascende verso l’alto in piccoli frammenti, come un’espansione del suo amore e della sua risposta all’amore infinito e misericordioso di Dio. Attraverso una serie di blu più o meno profondi si sale alla calotta emisferica ricca di infiniti colori, dal verde luminoso allo splendore del giallo, quasi simbolo del divino che attrae l’amore umano (il movimento verso l’alto delle “fiammelle” rosse) e nello stesso tempo scende verso l’uomo (i “frammenti” verdi e anche gialli che “piovono” verso il basso) per ricolmarlo della sua grazia. Ai due lati della vetrata, alcuni pannelli del pittore torinese Luigi Togliatto Amateis illustrano la vita e le attività educative e sociali di san Leonardo Murialdo. 

Il basamento dell’urna è disegnato a cerchi concentrici in marmo bianco appena ombreggiato e trasmette un senso di semplicità e di grande accessibilità. Il piano di appoggio che quasi continua il pavimento, il sedile circostante… tutto induce ad accostarsi. Vicino a San Leonardo Murialdo si può sostare con piacere e con familiarità. Davvero si gustano qui le belle parole che sul Murialdo ha pronunciato Paolo VI: «Non è un uomo lontano e difficile, non è un santo sequestrato dalla nostra conversazione; è un nostro fratello, è un nostro sacerdote, è un nostro compagno di viaggio. Il quale però, se davvero lo avviciniamo, non mancherà di provocare in noi quel senso di ammirazione dovuto alle anime grandi» (3 novembre 1963). 

Il volto e le mani del Murialdo sono opera di Giovanni Gianese e Romolo Felici, entrambi romani. Essi si sono ispirati alle fotografie scattate a San Leonardo Murialdo sul letto che accoglieva la sua salma, poche ore dopo la morte. Il volto si apre ad un dolce sorriso che emana pace e serenità. Una mano stringe il crocifisso, l’altra accenna ad una leggera benedizione, segno di saluto ai suoi figli, ai ragazzi poveri ed abbandonati, a chi si ferma qui in preghiera. 

 

Il dipinto che orna la parete sinistra del transetto è di Pietro Favaro (Scuola Reffo, 1963) e rappresenta il Murialdo ed il suo apostolato fra i giovani. 

Sullo stesso lato, un bianco gruppo scultoreo di San Giuseppe Benedetto Cottolengo è dovuto ad Anacleto Barbieri (Scuola Reffo).

Un altro dipinto, sulla destra, ugualmente di Favaro (1968) raffigura il Murialdo nella gloria. 

Addossata al pilastro del transetto destro c’è la tomba di don Eugenio Reffo (1843-1925), sacerdote giuseppino, primo collaboratore del Murialdo nella fondazione della congregazione, giornalista, scrittore, educatore e del quale è in corso la causa di beatificazione.

Più oltre, sulla sinistra, il quadro di San Giuseppe con Gesù adolescente e, sullo sfondo, il Santuario di Nostra Signora della Salute, è anch’esso dovuto al pennello di Favaro. 

Avviandosi verso l’uscita si ha modo di osservare la facciata interna della chiesa, ornata dal Trittico degli Arcangeli, di Enrico Reffo (1914). Al centro è rappresentato l’Arcangelo Michele con la spada fiammeggiante e la scritta “Quis ut deus” (chi come Dio?) frase latina che ricorda il significato del suo nome nella lingua ebraica. A destra (per chi guarda), è l’Arcangelo Raffaele in atto di guidare il giovane Tobia. A sinistra Gabriele, l’Arcangelo dell’Annunciazione.