TAPPE DELLA SUA STORIA

Tre sono i settori principali in cui san Leonardo esplicò la sua attività: gli oratori, l’accoglienza dei ragazzi poveri e abbandonati, il movimento cattolico.

All’inizio del suo apostolato, negli oratori, egli si indirizzò verso i ragazzi delle periferie di Torino, quelli che passavano tutto il giorno sulla strada, senza andare a scuola, o quelli già impegnati nel lavoro presso i negozi e le officine della città.

Dal 1866 in poi accettò di impegnare totalmente la sua vita per ragazzi ancora più poveri, quelli senza famiglia, o quelli che dalla famiglia erano stati abbandonati: è il mondo del Collegio Artigianelli e delle altre opere che da questa istituzione dipendevano.

Un terzo ambito di lavoro fu quello del movimento cattolico. Egli collaborò con l’Unione Operaia Cattolica di Torino, interessandosi del mutuo soccorso e della formazione cristiana degli operai, e con l’Opera dei Congressi, operando soprattutto nel campo della stampa popolare di orientamento cristiano.

SAN LEONARDO MURIALDO

Tappe della sua storia

Appena sacerdote, Leonardo Murialdo si dedicò all’apostolato tra i ragazzi dei primi oratori torinesi.
All’inizio egli aiutò suo cugino Roberto Murialdo, anch’egli sacerdote, nell’oratorio dell’Angelo Custode, in Borgo Vanchiglia.

Poi divenne direttore (1857-1865), su invito di don Bosco, dell’oratorio di San Luigi, presso la stazione ferroviaria di Porta Nuova. Fece il suo ingresso solenne in oratorio il 26 luglio 1857. Nel suo primo discorso a quei ragazzi egli espresse una delle linee della sua pedagogia, quella della presenza amorevole e amichevole in mezzo ai ragazzi: «Io farò quanto potrò, disse, nelle istruzioni, mettendomi a disposizione per i sacramenti, e nei leciti divertimenti, musica, ginnastica, giuochi, non da superiore, ma da amico» (Scritti, XI, p. 116).

L’oratorio era festivo, ma in quaresima apriva i battenti tutti i giorni e non soltanto la domenica.

Col tempo il Murialdo introdusse la scuola elementare diurna, per molti ragazzi che frequentavano l’oratorio nei giorni festivi e poi bighellonavano per le strade tutta la settimana. Il ruolo dei laici nell’oratorio era abbastanza rilevante. Parecchi appartenevano alle Conferenze di San Vincenzo; non pochi erano personaggi di spicco nel laicato cattolico torinese di allora (G. Bellingeri, F. Viancino, L. Scarampi, G. B. Ferrante). Da Valdocco venivano poi, ogni domenica, i chierici salesiani (M. Rua, C. Durando, G. Cagliero…), i quali si ponevano alle dipendenze del Murialdo per il catechismo e i giochi.

Per il Murialdo il periodo bello e intenso del San Luigi si concluse nel settembre del 1865 quando, anticipando la famiglia del fratello che si preparava a trascorrere l’inverno a Parigi, decise di dedicare un anno allo studio, alla riflessione e alla preghiera nel celebre Seminario di San Sulpizio.

Quell’anno di aggiornamento gli doveva servire per continuare poi il suo apostolato negli oratori torinesi. Invece, al suo ritorno a Torino nel 1866, gli venne proposto un impegno ben più pesante: diventare «rettore» di una casa che accoglieva ragazzi poveri e abbanndonati: il Collegio Artigianelli.

Il Collegio Artigianelli di Torino era stato fondato da don Giovanni Cocchi nel 1849. Egli volle coinvolgere e riunire in un’associazione le persone che, assieme a lui, desideravano prendersi a cuore l’educazione dei ragazzi poveri e abbandonati. Nacque così, l’anno dopo, l’«Associazione di Carità a pro dei giovani poveri ed abbandonati». Era formata da sacerdoti e da laici che si impegnavano a collaborare al fine dell’associazione con il sostegno economico, con la consulenza direzionale e amministrativa o con il loro diretto impegno nell’opera educativa. Col passar del tempo l’Associazione di Carità ampliò la cerchia delle sue istituzioni, arrivando ad avere sotto la sua responsabilità il Collegio Artigianelli di Torino, la colonia agricola di Rivoli (Torino), la casa famiglia per giovani operai e per studenti, l’Istituto San Giuseppe di Volvera, il riformatorio di Bosco Marengo (Alessandria).

Don Cocchi diresse il Collegio Artigianelli fino al 1852, quando gli subentrarono altri due sacerdoti, Giacinto Tasca e Pier Giuseppe Berizzi. Il collegio si proponeva di accogliere, assistere, educare cristianamente ed addestrare nel lavoro professionale i ragazzi orfani, poveri e abbandonati. All’inizio i ragazzi andavano ad apprendere un mestiere nelle botteghe artigiane della città (calzolai, fabbri, falegnami…), poi, nel 1856, furono allestiti i primi laboratori interni che poterono espandersi e migliorare quando il collegio ebbe a disposizione la nuova sede di Corso Palestro. Il nome «Artigianelli», voluto da don Cocchi, alludeva appunto alla formazione professionale che l’istituto assicurava ai suoi giovani.

Nel 1866, il teologo Pier Giuseppe Berizzi, che era rimasto solo alla guida del collegio, fu richiamato a Biella, sua diocesi di origine. Egli supplicò il Murialdo di sostituirlo in quel difficile incarico. Si trattava di una responsabilità assai pesante: quella di un istituto gravato da ingenti debiti e senza entrate sicure, dato che la maggior parte dei ragazzi vi erano ospitati gratuitamente. Si poteva contare quasi soltanto sulle offerte dei benefattori.

Dal 1866 e fino alla morte il teologo Murialdo spenderà la maggior parte delle sue energie per i ragazzi orfani, poveri e abbandonati che erano accolti in quella e nella altre istituzioni da essa dipendenti.

Nel momento in cui il Murialdo accettava la carica di Rettore, i ragazzi ospiti del collegio erano circa 150. Il loro numero crebbe negli anni seguenti, fino ad arrivare alla cifra di 180-200, a seconda delle epoche. Essi frequentavano quattro classi elementari (diventate cinque nel 1890) e un corso complementare. Verso i 12 anni potevano poi accedere ai laboratori, per un periodo di preparazione al vero e proprio tirocinio che incominciava a 14 anni e finiva a 19. Insieme alla formazione religiosa, il Murialdo cercò di perfezionare anche la preparazione intellettuale e tecnica impartita nelle scuole e nei laboratori. Questi ultimi erano cinque nel 1867 e salirono a una decina (con alcune specializzazioni al loro interno) durante il lungo rettorato del Murialdo: tipografi compositori, tipografi stampatori, litografi disegnatori, litografi stampatori, falegnami, tornitori in legno, scultori, sarti, calzolai, legatori di libri, fonditori di caratteri, fabbri ferrai e tornitori in ferro.

I ragazzi degli Artigianelli erano orfani o abbandonati dalle loro famiglie, oppure avevano genitori che non erano in grado di curarne l’educazione. Occorreva dunque accoglierli con affetto e farsi carico di tutti gli aspetti della loro vita: alloggio, vestito, vitto, salute, scuola, formazione al lavoro, educazione morale e religiosa, scelta della professione alla fine del tirocinio. E questo valeva anche per le altre opere collegate al Collegio Artigianelli e dipendenti dall’Associazione di Carità.

La sensibilità sociale maturata negli oratori delle periferie di Torino e approfondita nella quotidiana condivisione di vita con i ragazzi poveri e abbandonati delle sue opere assistenziali, dovette forse far apparire spontaneo e anche doveroso al Murialdo il suo attivo inserimento nel nascente movimento cattolico, che era da un lato la risposta laicale del cattolicesimo alla laicizzazione liberale dello Stato e della società e dall’altro un modo nuovo del laicato cristiano di inserirsi nell’apostolato attivo della Chiesa, soprattutto in quegli ambiti che sembravano più difficili da raggiungere attraverso il tradizionale ministero dei sacerdoti (gli operai, i giovani, il mondo della stampa).

Fu una delle prime società operaie cattoliche sorte in Piemonte. Col passare del tempo essa divenne la più organizzata e la più consistente, per numero di iscritti, tra le associazioni cattoliche operaie della regione e forse anche dell’Italia intera. La fondazione ebbe luogo il 29 giugno 1871. Tra i principali promotori figuravano il giornalista Stefano Scala, l’industriale Pietro Delucca, che fu il primo presidente, Ermanno Reffo, tesoriere, insieme a qualche altro laico e a qualche sacerdote.

Gli operai, gli artigiani, i piccoli commercianti che si iscrivevano al mutuo soccorso avevano diritto, in caso di infermità, alle cure del medico e ad un sussidio giornaliero che veniva a compensare il mancato salario lavorativo, dato che non esistevano allora sistemi previdenziali per i periodi di malattia e per gli infortuni e neanche pensioni per la vecchiaia.

A Torino l’Unione era strutturata in sezioni parrocchiali. Oltre a Scala e a Delucca, occorre ricordare altri laici che ebbero un ruolo rilevante all’interno dell’Unione, come Alberto Buffa, Paolo Pio Perazzo, Domenico Giraud, il tipografo Pietro Marietti… Tra gli assistenti ecclesiastici troviamo il canonico Ludovico Chicco, il canonico Augusto Berta e san Leonardo Murialdo.

Le principali attività dell’UOC erano il mutuo soccorso, il comitato di collocamento al lavoro, la Conferenza di San Giuseppe in favore dei poveri, la biblioteca popolare, i catechismi serali per gli apprendisti e i giovani operai, la cassa pensioni, le conferenze culturali, le iniziative formative e religiose. Dall’UOC, per merito di Domenico Giraud e con l’appoggio del Murialdo, nacque nel 1876 il giornale «La Voce dell’Operaio» che veniva stampato nel Collegio Artigianelli. Esiste ancora oggi con il titolo “La Voce e il Tempo” ed è il settimanale della diocesi di Torino.

San Leonardo Murialdo cominciò a frequentare l’Unione Operaia Cattolica, anzi vi si iscrisse e «prese a favorirla», come scrive don Reffo, fin dai suoi primi inizi. Del resto è lo stesso don Reffo ad affermare che «quando cominciò in Italia l’agitarsi dei cattolici per un’azione vigorosa ed efficace, egli poteva a ragione essere considerato come uno dei primi a promuovere quell’agitazione salutare e a farsene apostolo».

E’ ancora don Reffo, suo primo biografo, a testimoniare che nelle associazioni cattoliche torinesi il Murialdo «fu per molti anni assistente ecclesiastico e promotore ed anima», riconoscendogli dunque un ruolo rilevante che gli derivava dalla sua personalità, dalla sua lunga attività educativa, dall’assidua frequentazione dei ceti popolari delle periferie torinesi ed anche dalle esperienze straniere, soprattutto francesi, con le quali egli veniva a contatto grazie ai suoi numerosi viaggi all’estero.

Tra le opere dipendenti dall’Associazione di Carità di Torino c’era anche un riformatorio. L’aveva aperto don Cocchi a Chieri nel 1868, con 45 ragazzi liberati dal carcere correzionale di Torino o comunque soggetti alla legge speciale di pubblica sicurezza. Nel 1870 il riformatorio fu trasferito a Bosco Marengo, in provincia di Alessandria, nei locali dell’ex convento domenicano di Santa Croce.
Col passare del tempo arrivò ad accogliere circa 400 giovani «corrigendi», di età non superiore ai quindici anni. I più piccoli frequentavano la scuola elementare, i più grandi, oltre alla scuola, erano avviati all’apprendimento di un lavoro nei laboratori interni: c’erano la fonderia di caratteri, la tipografia, la litografia, un pastificio, i falegnami, gli scultori e i tornitori in legno, i sarti, i calzolai, i tessitori, gli addetti alla produzione di maglie in lana e in cotone ed infine una squadra di orticoltori.

Nell’ottobre del 1872 don Cocchi si dimise dalla direzione del riformatorio e fu sostituito da don Giulio Costantino, collaboratore di san Leonardo e più tardi suo successore nella guida del Collegio Artigianelli e nella Congregazione di San Giuseppe.

La situazione del riformatorio fu sempre gravata da pesanti problemi: quelli finanziari innanzitutto, ma anche quelli pedagogici, derivanti dalla difficoltà di seguire ed educare una grande massa di giovani senza la disponibilità di un gruppo sufficiente di educatori ben formati e disposti ad una vita di grande sacrificio.

I giovani erano inviati dal governo, ma l’accordo con le autorità non fu mai facile. La direzione dell’Associazione di Carità avrebbe desiderato fare di Bosco Marengo non solo un riformatorio per «custodire» i giovani, ma soprattutto una casa di educazione e di recupero morale e professionale.

Le autorità governative invece lesinavano i fondi, non si convincevano della necessità di ridurre il numero dei ragazzi ed in più pretendevano di operare un controllo sulle scelte educative. Le tensioni che si erano create indussero il governo, nel 1883, a chiudere d’autorità il riformatorio, nonostante vari tentativi di don Cocchi di salvare la sua creatura. I ragazzi furono inviati nelle diverse case di correzione esistenti in Italia. Soltanto 25 fra essi scamparono alla dispersione e furono accolti nella colonia agricola di Rivoli.

La colonia agricola di Rivoli, fondata dal Murialdo nel 1878, sostituiva quella aperta da don Cocchi a Cavoretto, sulla collina di Torino, nel 1852 e poi spostata a Moncucco (Asti) nel 1853.
Nell’Ottocento le colonie agricole erano collegi in cui i ragazzi, generalmente orfani o abbandonati, venivano addestrati in varie attività come l’allevamento, la viticultura, il giardinaggio… La formazione al lavoro agricolo era inoltre una risposta ai gravi problemi posti dalle tristi condizioni di vita dei contadini, dalla disoccupazione, dalla fuga dalle campagne e dall’emigrazione.

Principale collaboratore del Murialdo nella fondazione della colonia agricola di Rivoli fu il nipote, l’ingegnere Carlo Peretti, il quale acquistò a sue spese lo stabile e il terreno (40 ettari). La colonia, aperta il 16 maggio 1878, divenne presto un podere modello, grazie ai lavori che Peretti vi condusse: impianti di irrigazione, distribuzione razionale delle coltivazioni, costruzione di nuovi fabbricati.

I ragazzi erano impegnati nei lavori agricoli, nell’orticoltura, nel giardinaggio, nell’allevamento e nei laboratori ad uso interno: sartoria, calzoleria, falegnameria, officina dei fabbri ferrai. Dal 1881 la parte teorica venne migliorata dando l’avvio ad una vera e propria Scuola teorico-pratica di agricoltura con corsi di botanica, fisica, disegno, orticoltura, chimica, agronomia…

I ragazzi, soltanto 10 all’inizio, salirono a 60 nell’anno scolastico 1878-79 e ad 80 nell’anno seguente. La qualità della formazione che ricevevano è testimoniata dai molti premi, diplomi, menzioni, medaglie… che la colonia vinse in varie esposizioni e manifestazioni di carattere agricolo.

Il Murialdo fondò la casa famiglia nel 1878, con l’aiuto finanziario del nipote Carlo Peretti. Era la prima istituzione del genere in Italia.
La casa famiglia (situata accanto alla chiesa di Santa Giulia, nel quartiere di Vanchiglia) era stata pensata anzitutto per i giovani che avevano finito la loro formazione professionale al Collegio Artigianelli. Ormai erano grandi e cominciavano a lavorare, ma non avevano una famiglia ed incontravano quindi gravi difficoltà per il vitto e per l’alloggio. La casa famiglia era però aperta anche ad altri giovani lavoratori che venivano a Torino in cerca di occupazione. Lontani da casa, vi trovavano un’ospitalità accogliente, economica, moralmente sana.

Inoltre la casa famiglia, vero e proprio pensionato per giovani operai, formava come il completamento e il coronamento di tutta l’organizzazione assistenziale facente capo al Collegio Artigianelli. A neanche un anno dall’apertura gli ospiti erano già venti e salirono ben presto a cinquanta. La Casa famiglia offriva loro vitto, alloggio in stanza singola e possibilità di svago per il tempo libero; provvedeva a far lavare, stirare e cucire la biancheria.

Il costo della pensione, nel 1886, era di 36 lire al mese. Con un po’ di approssimazione, si può dire che a quel tempo il salario mensile di un giovane operaio si aggirava sulle 55-65 lire. Pagata la pensione e fatta qualche spesa per l’abbigliamento, ogni giovane ospite della casa famiglia poteva dunque mettere da parte un piccolo gruzzoletto per il suo futuro. Era un modo per avviare i giovani verso una vita indipendente e nello stesso tempo per continuare a star loro vicini, anche dal punto di vista formativo e religioso, nei primi difficili anni dell’inserimento nel mondo del lavoro.

Nel 1881 la casa famiglia fu aperta anche agli studenti, per gli stessi motivi di carattere assistenziale, educativo e religioso.

Tra le opere che formavano come un unitario complesso educativo retto dall’Associazione di Carità, figurava anche l’Istituto San Giuseppe di Volvera (Torino), aperto dal Murialdo nel 1881. Esso era inoltre la prima casa interamente di proprietà della Congregazione di San Giuseppe fondata dal Murialdo. Accoglieva i ragazzi più piccoli, prima che potessero iniziare il loro tirocinio professionale agli Artigianelli o nella colonia agricola. Vi trovò ospitalità anche un gruppo di seminaristi, ancora ragazzi, e alcuni chierici studenti di filosofia orientati alla vita religiosa nella giovane congregazione.
Dall’epoca della nomina a Rettore (1866) fino alla fondazione dell’Istituto educativo di Volvera erano trascorsi quindici anni. Il Murialdo aveva migliorato le istituzioni già esistenti prima del suo arrivo e ne aveva fondate di nuove. Quello dell’Associazione di Carità era ormai un complesso articolato ed insieme armonico, in grado di venire incontro in modo abbastanza duttile ai bisogni dei ragazzi poveri e abbandonati, accompagnandoli dalle classi elementari (Volvera), attraverso la formazione professionale (Collegio Artigianelli, colonia agricola), fino all’inserimento nel mondo del lavoro (casa famiglia).

L’Opera dei Congressi era un’organizzazione di carattere nazionale che si proponeva di coordinare le iniziative dei cattolici nella società italiana. Il Murialdo faceva parte del Comitato regionale piemontese, all’interno del quale egli si dedicò soprattutto al settore della stampa cattolica e delle biblioteche circolanti.

A lui, e a pochi altri suoi collaboratori, risale la fondazione a Torino nel febbraio 1883 dell’Associazione per la diffusione della buona stampa sotto la speciale protezione di San Carlo Borromeo. Il passo successivo fu un tentativo di collegamento tra le varie associazioni che in Italia si occupavano della diffusione della stampa cattolica. Durante il sesto congresso cattolico italiano (Napoli, 10-14 ottobre 1883) il Murialdo avviò quella che allora venne chiamata Lega fra le varie società per la diffusione della buona stampa. Era un’associazione nazionale, o meglio, una federazione di società, di cui quella torinese fondata dal Murialdo era una delle aderenti e nel contempo rivestiva il ruolo di promotrice e di centro operativo per mantenere i contatti.

Qualche mese più tardi (gennaio 1884), il Murialdo dava vita al bollettino mensile «La Buona Stampa», organo dell’Associazione San Carlo di Torino, ma anche foglio di collegamento della neonata Lega, alla quale frattanto avevano aderito le società di Roma, Napoli, Venezia, Ancona, Genova, Palermo, Milano e Savona, oltre naturalmente a Torino, società promotrice.

L’Associazione San Carlo di Torino si dedicava alla fondazione di biblioteche circolanti, cioè piccole biblioteche popolari che operavano il prestito dei libri e che avevano sede presso le associazioni cattoliche, le parrocchie, le case religiose, o in locali presi in affitto. Altro settore di attività era quello della distribuzione (a prezzi assai economici) di libri a comitati parrocchiali, associazioni, sezioni dell’Unione Operaia Cattolica, oratori, oltre alla diffusione gratuita di libretti ed opuscoli vari.

Volendo racchiudere, a modo di sintesi, l’intera parabola apostolica del Murialdo nel movimento cattolico, si nota in lui una spiccata sensibilità verso due settori «di frontiera», quello degli operai e quello della stampa, nei quali la presenza della Chiesa risultava ormai marginale, due campi di azione missionaria, veri apostolati nei quali la Chiesa non poteva far a meno di investire energie, persone, risorse.