IL PATTO EDUCATIVO GLOBALE NEL CONTESTO DEL MAGISTERO DEL PAPA FRANCESCO
- 19 April 2021
1. La sfida di un nuovo Patto Educativo
Con un messaggio pubblicato il 12 settembre del 2019, il papa Francesco ha voluto rilanciare l’invito fatto nella Laudato Si’ a collaborare alla custodia della casa comune. Lo ha fatto chiamando l’umanità ad impegnarsi nella costruzione di un nuovo patto educativo globale, sostenendo la «necessità di investire i talenti di tutti, perché ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente» . A questo scopo si programmava un evento mondiale che si sarebbe dovuto tenere in Roma il 14 maggio 2020. Ovviamente nessuno sospettava che – di lì a qualche mese – un microscopico organismo sarebbe arrivato ad interrompere la nostra quotidianità imponendoci nuovi ritmi e nuove regole. Il cammino di riflessione e impegno lanciato dal papa è comunque proseguito, adattandosi alle nuove contingenze create dalla pandemia. L’incontro inizialmente previsto per il mese di maggio si è poi svolto in ottobre del 2020. In questa occasione il papa è ritornato sulla necessità di ascoltare il grido delle nuove generazioni ed intraprendere nuovi cammini educativi, vivendoli come un atto di speranza, anche davanti all’emergenza educativa che la pandemia ha creato : «ascoltiamo il grido delle nuove generazioni, che mette in luce l'esigenza e, al tempo stesso, la stimolante opportunità di un rinnovato cammino educativo, che non giri lo sguardo dall'altra parte favorendo pesanti ingiustizie sociali, violazioni dei diritti, profonde povertà e scarti umani» . Se da una parte di certo non costituiva una grande novità il fatto che il papa si esprimesse su questioni educative – l’educazione occupa un posto di rilievo nel suo pensiero - è anche vero che l’invito sembrava rivestirsi di un carattere urgente e indifferibile: «mai come ora, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per […] ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna» . Questo senso di urgenza si è poi fatto, nei mesi successivi, sempre più forte considerando la catastrofe educativa che la pandemia da Covid-19 ha fatto emergere ed acuito, nel contesto generale di una scarsa solidarietà intergenerazionale6 e in una crisi del «valore di legame, rovesciatosi ora in dis-valore, nel momento in cui la prossimità da segno di benevolenza […] diventa minaccia e la distanza tra individui della stessa specie si afferma come dovere civico» . Questo testo vuole provare a ragionare attorno a questa proposta di Francesco mettendola in connessione con le suggestioni e gli inviti che il suo magistero ha offerto, cercando di cogliere il fil rouge che collega il PE ad alcuni temi centrali della proposta che – come pontefice – ha fatto alla Chiesa e all’umanità tutta in questi anni. In particolare sono due i punti che proverò a mettere in luce, uno ecclesiale e l’altro antropologico: la relazione tra la proposta del PE e la logica della chiesa in uscita e quella dell’umanesimo dell’aver cura che in qualche modo costituisce il nucleo generatore di questa proposta e dell’intero magistero di Francesco.
2. Una logica ecclesiale:
il piú di grazia e salvezza che ci raggiunge dai processi educativi La proposta del PE prende spunto da una visione ecclesiale di fondo che sorregge e guida l'azione del papa Francesco e le cui radici andrebbero ricercate oltre che nel Concilio Vaticano II e nella spiritualità gesuitica, anche e soprattutto nella riflessione della cosiddetta Teologia del popolo, che nasce e si sviluppa a partire dal documento di Medellín (1968) e si separa dalla Teologia della liberazione, nel tentativo di rendere centrale nella riflessione e nella prassi ecclesiale la categoria di popolo di Dio, inteso come soggetto depositario di una fede incarnata e vera sorgente mistica, comunionale e pastorale. Questa visione del popolo di Dio come multiforme armonia trova il suo centro in due categorie in stretta correlazione tra loro: missione e comunione. La Chiesa é una comunione per la missione ed una missione che porta alla comunione. Detto con le parole del documento di Aparecida: «la comunione e la missione sono profondamente unite tra di loro […] la comunione è missionaria e la missione è per creare comunione». Questa comunione per la missione che è la Chiesa vive profondamente la sua identità quando si pone nella logica del primerear (prendere l’iniziativa): «la comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore, e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e la sua forza diffusiva». Questa missionarietà della Chiesa, questo suo essere in uscita, protesa verso i lontani, desiderosa di abitare gli incroci delle strade si riflette nella proposta del PE. L’instrumentum laboris lo dice esplicitamente, affermando che «il Papa ha invitato la Chiesa intera a porsi “in uscita” missionaria, come stile da assumere in ogni attività che si realizzi. [...] In un tale invito ad avere cura delle fragilità del popolo e del mondo in cui viviamo – invito che non riguarda in verità solo i cristiani ma tutti gli uomini e donne della terra – diventano prioritarie l’educazione e la formazione perché esse aiutano a diventare protagonisti diretti e costruttori del bene comune e della pace». Accanto a questa lettura della Chiesa in uscita - comunità capace di primerear, di farsi tutto a tutti, di uscire dalle sue logiche per incontrarsi con quelle di chi è diverso, lontano, ultimo, escluso - trova spazio anche un’altra possibile visione, non alternativa ma complementare. Parlare di Chiesa in uscita è anche ricordare che fuori dai nostri schemi, dalle nostre strutture, dal nostro modo di essere e fare, dalle nostre logiche c’è un piú di grazia e di salvezza che ci aspetta. La grazia di Cristo straripa fuori dalle nostre strutture e ci precede, anonima ma feconda, nelle realtà del mondo, nei processi che nascono attorno a noi e fuori dai nostri schemi. Il mondo dell’educazione è un nitido esempio di come la grazia di Cristo sia strabordante, non rinchiusa solo negli angusti recinti delle comunità ecclesiali. Scuole in cui maestri e studenti cercano nuove risposte alle domande del presente, giovani che si incontrano per condividere le loro passioni, per impegnarsi nella costruzione di un mondo nuovo e migliore, gruppi e collettivi che lottano per salvaguardare l’ambiente, per proteggere ogni forma di vita: ecco dei luoghi educativi dove la grazia di Cristo ci ha preceduto, dove la salvezza è arrivata anonima ma feconda. Vivere e lasciarsi fecondare da questi processi giovanili, accompagnarli in maniera discreta è incontrare Cristo che in maniera ignota continua a fecondare la terra e l’umanità con la forza del suo Spirito. La proposta del patto educativo globale, allora, trova il suo fondamento proprio in queste due letture della categoria di Chiesa in uscita: farsi prossimi, andare in cerca dell'altro in tutti i campi, anche quello educativo, riconoscendo la necessità di primerear in questo ambito; al tempo stesso riconoscere che nei processi educativi si dà un piú di salvezza, si manifesta la grazia di Cristo, talvolta in maniera anonima o non pronunciata, ma evocata dalla pienezza di vita che da essi scaturisce. Con le parole di Francesco: «oggi c'è bisogno di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società. Ascoltiamo il grido delle nuove generazioni, che mette in luce l'esigenza e, al tempo stesso, la stimolante opportunità di un rinnovato cammino educativo, che non giri lo sguardo dall'altra parte favorendo pesanti ingiustizie sociali, violazioni dei diritti, profonde povertà e scarti umani».
3. Una antropologia dell’aver cura
Quanto detto sulla visione ecclesiale di Francesco e su come questa sia alla base della proposta del patto educativo globale ci porta, inevitabilmente, a parlare dell’altro nucleo fondamentale di questo progetto: quello umano. Il papa ha ricordato come l'educazione «sia una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia» 14 e sappiamo quanto il suo magistero si sia caratterizzato per una profonda attenzione all’umano. Sulla scia del Concilio e della miglior riflessione post-conciliare - e in particolare dell’insegnamento di Paolo VI - Francesco si è espresso molte volte in merito alla necessità di costruire un nuovo umanesimo. Sia chiaro, non in maniera sistematica o definitiva, per assiomi o definizioni ma, seguendo uno schema tipico del suo magistero, in una dimensione evocativa. Il suo insegnamento su questi temi si muove tra due poli: la condanna di quanto inumano c’è in questo mondo (strutture, logiche, scelte: tutto ciò che può rientrare nella categoria di cultura dello scarto) e un costante evocare una logica nuova, una maniera di essere uomini e donne che trova il suo centro nell’aver cura. Proviamo ad analizzare questi due poli in relazione alla proposta del PE. Il messaggio per il lancio del PE conteneva una precisa osservazione sul contesto socioculturale che stiamo vivendo: «il mondo contemporaneo è in continua trasformazione ed è attraversato da molteplici crisi. Viviamo un cambiamento epocale: una metamorfosi non solo culturale ma anche antropologica che genera nuovi linguaggi e scarta, senza discernimento, i paradigmi consegnatici dalla storia. L’educazione si scontra con la cosiddetta rapidación, che imprigiona l’esistenza nel vortice della velocità tecnologica e digitale, cambiando continuamente i punti di riferimento. In questo contesto, l’identità stessa perde consistenza e la struttura psicologica si disintegra di fronte a un mutamento incessante che contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica». Della rapidación il papa aveva già parlato nella Laudato Si’, definendola come un fenomeno tipico del mondo contemporaneo, che vede una continua accelerazione nei ritmi di produzione e di vita, provoca dei rapidi cambiamenti, spesso orientati solo al profitto e incompatibili con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica. Si tratta della logica propria della cultura dello scarto, che tutto piega ai suoi interessi, stretti nel cieco paradigma nascere/produrreconsumare/morire. La società della velocità, che impone ritmi di produzione sempre più rapidi, è la stessa che lascia indietro l’umanità ferita, i dannati della terra, colpevoli di non poter stare al passo con i tempi o forse destinati a questo dallo stesso sistema e dalla sua necessità di vittime da offrire sull’altare del benessere di pochi, ingranaggi di un sistema che si auto fagocita, portando l’umanità sull’orlo di un’estinzione di massa. E così, come in una rinnovata rappresentazione del mito di Re Mida, l’umanità affamata di beni produce e consuma ad una velocità sempre più rapida, toccando tutto ciò che incontra, masse anonime e risorse naturali, per trasformarle nell’oro di beni di consumo sempre più usa e getta, fino a quando non si renderà conto che l’unica cosa che desidera (produrre/consumare in maniera sempre maggiore e sempre più rapida) non è capace di dargli vita, ma la condanna ad una morte che punisce i suoi stolti desideri. Solo che a poter salvarla non c’è il Dioniso del mito, ma un’umanità altra, che si oppone e resiste a questo modello, e che è chiamata a proporre una visione differente; come suggeriva già il papa Paolo VI in un documento – la Popolorum Progressio – che sembra avere un peso specifico importante nel magistero di Francesco, la vera questione sta nella costruzione di un umanesimo nuovo: «se il perseguimento dello sviluppo richiede un numero sempre più grande di tecnici, esige ancor di più uomini di pensiero capaci di riflessione profonda, votati alla ricerca d’un umanesimo nuovo, che permetta all’uomo moderno di ritrovare sé stesso, assumendo i valori superiori d’amore, di amicizia, di preghiera e di contemplazione. In tal modo potrà compiersi in pienezza il vero sviluppo, che è il passaggio, per ciascuno e per tutti, da condizioni meno umane a condizioni più umane» . Alla maniera di vedere le cose pocanzi evocata, a questo sistema dello scarto e del consumo forsennato, si oppone, allora, una visione umana diversa, che trova il suo centro nella categoria dell’aver cura. Motore propulsore di questa visione è Cristo, il veramente uomo, che camminando sui sentieri polverosi di Galilea, sanando e liberando, ha insegnato all’uomo la categoria dell’ultimo, del bisognoso su cui chinarsi con amore e premura. Guardando al suo volto, il volto dell’eternamente misericordioso, incontriamo colui che si spoglia della sua divinità per farsi addentro alle dinamiche umane, di colui che smette di essere l’Eternamente Oltre per gustare della gioia di un pranzo tra amici, per ridere e scherzare, per innamorarsi, per provare la dolcezza della carezza di una mamma, per indignarsi e arrabbiarsi davanti alle ingiustizie, per piangere di dolore la morte di un amico, per ridare speranza ai discepoli abbattuti dalla notizia della sua morte. È quel volto, allora, il volto del Dio che si fa uomo, che ci insegna il cammino per essere uomini e donne nuovi: «non dobbiamo addomesticare la potenza del volto di Cristo. Il volto è l’immagine della sua trascendenza. È il misericordiae vultus. Lasciamoci guardare da Lui. Gesù è il nostro umanesimo» . Guardiamo, allora, al suo volto per provare a dare un senso a questa antropologia dell’aver cura evocata da Francesco e centrale nella proposta del PE. Questo volto di Cristo possiamo scorgerlo riflesso in quello di un uomo in cammino lungo i sentieri che da Gerusalemme portano a Gerico, un samaritano che ha cura di uno sconosciuto, incontrato ferito sul ciglio del sentiero. Questo aver cura del samaritano si gioca tutto attorno a tre azioni fondamentali: sentire compassione per la condizione dell’altro, farsi vicino e stabilire una prossimità che sa di impegno, farsi carico dei bisogni dell’altro. Su questa sequenza e sulla nostra capacità di assumerla come costitutiva della nostra natura si gioca il nostro futuro come umanità: − Sentire compassione: non solo sentire insieme, ma anche e soprattutto sentirsi chiamati a responsabilità verso l’altro − Avvicinarsi per curare e sanare le ferite, stabilendo una prossimità fisica che dice disponibilità, un contatto che parla di un desiderio di vicinanza più forte dell’imbarazzo dei corpi che si incontrano − Farsi responsabili per la sorte dell’altro anche oltre le prime e necessarie attenzioni, uscendo dalla logica della necessità presente per entrare nell’orizzonte della costruzione di futuro. Questa sequenza dovrebbe essere al centro delle nostre strutture sociali e culturali, trasformarle per garantire al mondo un cammino di futuro: «davanti a tanto dolore, a tante ferite, l’unica via di uscita è essere come il buon samaritano. Ogni altra scelta conduce o dalla parte dei briganti oppure da quella di coloro che passano accanto senza avere compassione del dolore dell’uomo ferito lungo la strada. La parabola ci mostra con quali iniziative si può rifare una comunità a partire da uomini e donne che fanno propria la fragilità degli altri, che non lasciano edificare una società di esclusione, ma si fanno prossimi e rialzano e riabilitano l’uomo caduto, perché il bene sia comune. Nello stesso tempo, la parabola ci mette in guardia da certi atteggiamenti di persone che guardano solo a sé stesse e non si fanno carico delle esigenze ineludibili della realtà umana». Se questo è l’orizzonte umano verso cui orientare l’andare dell’umanità, allora non si può fare a meno dell’educazione, cammino da percorrere per costruire questo umanismo nuovo, questo futuro che trova il suo centro nell’aver cura del mondo e degli altri: «L'educazione è soprattutto una questione di amore e di responsabilità che si trasmette nel tempo di generazione in generazione. L'educazione, quindi, si propone come il naturale antidoto alla Francesco, Fratelli Tutti, 67. 8 cultura individualistica, che a volte degenera in vero e proprio culto dell'io e nel primato dell'indifferenza. Il nostro futuro non può essere la divisione, l'impoverimento delle facoltà di pensiero e d'immaginazione, di ascolto, di dialogo e di mutua comprensione. Il nostro futuro non può essere questo». Il PE, allora, ci sfida ad essere costruttori di questo nuovo umanesimo, di una umanità che riproduce nel suo volto quello di Cristo, un mondo in cui l'aver cura è il paradigma che guida tutte le decisioni politiche, sociali, etiche, religiose. Como umanità, allora, siamo chiamati a rinnovare la nostra tensione educativa, ad ascoltare «il grido delle nuove generazioni, che mette in luce l'esigenza e, al tempo stesso, la stimolante opportunità di un rinnovato cammino educativo, che non giri lo sguardo dall'altra parte favorendo pesanti ingiustizie sociali, violazioni dei diritti, profonde povertà e scarti umani» .
4. Costruire oggi l’umanità del domani
Il cammino fatto fino ad ora ci ha mostrato come la proposta del PE si inserisca nella visione ecclesiale di Francesco, quella della Chiesa in uscita, comunità per la missione, che vede nel primerear il senso del suo esistere e la prova della sua fedeltà allo Spirito del Risorto, quello stesso Spirito che la precede fecondando i processi educativi e giovanili che si danno fuori dai suoi schemi e dalle sue logiche. A questa visione ecclesiale si affianca una antropologia dell’aver cura che costituisce il motore del progetto del PE. Il desiderio di costruire un’umanità che trovi nell’aver cura dell’altro il suo centro, il sogno di una comunità di uomini e donne che riconoscano nelle differenze non una causa di divisione ma un invito alla vicinanza è l’orizzonte ultimo che muove la proposta del PE. Il cammino tracciato dal papa, allora, ha tutti i contorni di una sfida, che richiede scelte coraggiose per costruire oggi l’umanità del domani, lontana dalla logica della cultura dello scarto, per formare uomini e donne che riflettano nel loro volto il volto di Gesù, del Maestro che si china sull’umanità ferita per riempirla di sé non dall’alto di una prepotente perfezione, ma mettendosi alla sua stessa altezza, per poter guardarla negli occhi.
p. Giuseppe Meluso
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Si conclude la conferenza interprovinciale 2023
NOI SIAMO QUI La Conferenza Interprovinciale è stata celebrata nei giorni 20 - 25 marzo presso Villa Speranza dei padri somaschi in San Mauro Torinese. I partecipanti sono stati 25 tra laici, laiche, confratelli. La CI ha risposto a quanto veniva chiesto a questa assemblea: muovere i primi passi della stagione capitolare, definire un documento di indirizzo per i capitoli locali e provinciali, indicare data e luogo del capitolo generale, stabilire i criteri di partecipazione per i laici e i confratelli, formare la commissione preparatoria al capitolo generale. Mi pare importante far risaltare che la CI ha preso atto dei bisogni più urgenti che segnano la nostra vita di Congregazione e di Famiglia del Murialdo e per essi ha indicato dei cammini di riflessione e di operatività che ora saranno condivisi a livello locale e provinciale. La lettura del documento fa subito risaltare come risenta dei giorni legati alla celebrazione del 150mo di fondazione, ed esprime soprattutto un legame speciale con il discorso di papa Francesco. Sono stati per tutti giorni di entusiasmo, di comunione, di immersione nel carisma di san Leonardo Murialdo; per molti era la prima volta che venivano a Torino e personalmente conoscevano i luoghi dove il Murialdo aveva vissuto e fondato la Congregazione. E’ stato un tempo di grazia che certamente porterà frutto. “Non basta indicare i cammini, occorre imparare a camminare in modo nuovo”; “cogliere nel presente i semi del futuro”; “lasciarsi interpellare dall’altro”; “sentire il grido dei giovani e del mondo”. Sono alcune delle espressioni risuonate in assemblea. Rimane fondamentale soprattutto il mettersi in ascolto dello Spirito per cogliere che cosa oggi il Signore dice alla nostra famiglia religiosa. Papa Francesco ci invitava ad avere uno sguardo libero da legami e aperto sull’orizzonte perché sia capace di cogliere la realtà nel suo tendere verso il futuro. La mattina del 18 marzo nel teatro degli Artigianelli la manifestazione ufficiale per il 150mo di fondazione si è aperta con una affermazione: “Noi siamo qui”. Non è solo un proposito, è soprattutto una dichiarazione di fedeltà alla missione in favore dei giovani, chiedendo al Murialdo di ravvivare la nostra scelta vocazionale e di poter essere degni figli ed eredi di una storia che ora è affidata a noi. Siamo convinti che possiamo scrivere una nuova pagina di storia come Famiglia del Murialdo: radicata nelle sue origini sappia incarnare nell’oggi il carisma di San Leonardo Murialdo. Un augurio che impegna ciascuno. p. Tullio Locatelli padre generale CAPITOLO GENERALE XXIV Messico – 27 maggio/15 giugno DOCUMENTO DI ORIENTAMENTO O DI INDIRIZZO* IN ASCOLTO DEL GRIDO DEI GIOVANI E DELLA TERRA, E ANIMATI DALLO SPIRITO, COME FRATELLI E SORELLE APRIAMO NUOVI CAMMINI DI SPERANZA **************** "Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. (Gn 12, 1-2) IN ASCOLTO DEL GRIDO DEI GIOVANI E DELLA TERRA In questa parte del nostro motto non sembra esserci molta novità o innovazione. Ad esempio, il motto del Capitolo generale XIII era: "In cammino con i giovani e in ascolto di un mondo che cambia, annunciamo la gioia del Vangelo, condividendo il carisma". Ci sono due eccezioni: i giovani ora "gridano" e appare la "terra". Inoltre, considerati globalmente, non riconosciamo più solo che "il mondo sta cambiando", ma siamo più consapevoli di dover cambiare noi e di dover aprire nuove strade. Testi per la meditazione e l'illuminazione: Preghiera ispirata a San Leonardo Murialdo. “Prendi lezioni dal passato ma vivi nel tuo tempo, ascolta e comprendi le voci dell’universo, della tua terra, della tua gente della tua città, della tua patria, le voci dei sofferenti, dei poveri e degli oppressi. Compenetrati di tutto ciò che è bello buono, vero e santo. Non si perde nulla a vivere generosamente, nobilmente, amabilmente, nutrendo nell’animo la sincerità, la giustizia, il buon senso, la bontà. Solo così imparerai a leggere i segni dei tempi e di Dio, e a sentire i richiami delle anime”. La vedova di Nain e Gesù (Lc 7, 11ss). A contatto con Cristo, chi si sente morto, risorge! “Gesù si recò poi in una città chiamata Nain, accompagnato dai suoi discepoli e da una grande folla. Proprio mentre si avvicinava alla porta della città, l'unico figlio di una donna vedova veniva portato a seppellire e molti abitanti del luogo erano con lei. Quando il Signore la vide, si commosse e le disse: "Non piangere". Poi si avvicinò e toccò la bara. I portatori si fermarono e Gesù disse: "Giovane, ti ordino di alzarti". Il morto si alzò e cominciò a parlare. E Gesù lo consegnò a sua madre. Tutti erano pieni di stupore e lodavano Dio, dicendo: "Un grande profeta è apparso in mezzo a noi e Dio ha visitato il suo popolo.” Esortazione Apostolica Postsinodale Christus Vivit; specialmente (30-33). Enciclica Laudato Si. A . IN ASCOLTO... Prima di tutto si tratta di ascoltare. È l'atteggiamento fondamentale. È anche un modo di conoscere e di relazionarsi. L'ascolto ci aiuta innanzitutto a resistere alla tentazione di "parlare per...", che nasconde ogni paternalismo, e a rivedere i nostri pregiudizi. È il primo passo del processo sinodale. Dall'ascolto che nascono le "nuove strade" che vogliamo aprire; non da noi stessi e non dalle nostre proiezioni. Non basta "vedere" (comodamente, dal posto di osservatore o di critico) ciò che abbiamo davanti, ma bisogna "ascoltare" chi ci sta accanto e chi sta "dietro". E per ascoltare è necessario stare con i giovani. Ribadiamo lo slogan di essere: "amici, fratelli e padri". Deve essere un ascolto sia a livello di atteggiamenti personali che di strutture. È necessario creare "strutture di ascolto", anche se sappiamo che il grido le travolge sempre. Questo deve avvenire a tutti i livelli. Il CG potrebbe anche proporre un'équipe generale per favorire questi processi di ascolto, in collaborazione soprattutto con coloro che lavorano nella pastorale giovanile. L'ascolto implica tre esigenze: in primo luogo, contrariamente all'accelerazione e alla fretta in cui è coinvolta la cultura contemporanea, l'ascolto richiede tempo e deve stabilire il polso e il ritmo della relazione; in secondo luogo: l'ascolto richiede conversione, cambiamento. Terzo: l'ascolto richiede discernimento. Il discernimento è necessario prima dell’ascolto (dove gridano i giovani), durante (cosa gridano), dopo (di quale aiuto hanno bisogno i giovani). B. … DEL GRIDO: La parola non va presa in senso letterale, perché ci sono anche gridaa silenziose. Parliamo di un grido per indicare che ci sfida. È una modalità di espressione assordante, che non permette di rimanere uguali, impassibili, che ci mette sempre in movimento. Comprende persino una certa sfumatura di urgenza. Assomiglia a un grido, nel senso biblico del termine. Che cosa dicono? Innanzitutto, è un grido di aiuto: esprime una grande insicurezza (sul lavoro, sul futuro, ecc.); anche una certa mancanza di senso, di speranza. Per quest'ultimo motivo, vogliamo offrire percorsi di speranza. In secondo luogo, i giovani gridano anche gioia, gridano speranza, entusiasmo, vita: i giovani non vivono a "bassa voce". Non ci concentriamo solo sul negativo, su ciò che non va. E’ questo il nostro modo caratteristico di ascoltare e rispondere a questo grido? E’ un ascolto educativo mosso dal sentimento e dalla fiducia che Dio li ama con amore misericordioso? Il CG dovrebbe essere un'occasione per chiederci sinceramente: come Chiesa, come congregazione, come provincia religiosa... sappiamo ascoltare? Il grido può superare le nostre capacità. Le nostre risorse, la nostra disponibilità potrebbero non essere all'altezza dei bisogni. Qui si rafforza la necessità di fare rete. Un'ultima riflessione generale: oggi sembra che "tutto gridi": i giovani, la terra, i migranti, le minoranze, ecc... C'è il rischio che non si dica nulla. Grida tra le grida; puro rumore. Per non perdersi tra le voci e la confusione, è necessario discernere ciò che è comune a queste grida (visione integrale). C. ...DEI GIOVANI: Sono il cuore del nostro carisma. Non solo i "nostri giovani", quelli che già partecipano alle nostre opere, ma tutti i giovani, anche quelli che sono fuori dalle nostre opere. Anche il Papa, nell’udienza del 17 marzo, ha detto: "prestate particolare attenzione ai più giovani, che oggi più che mai hanno bisogno di testimoni credibili". Sono i giovani che possono rinnovarci, non noi stessi. Insistiamo: il rinnovamento viene da fuori, non dalla crescita di ciò che già c'è. Per loro dobbiamo uscire - come dice Papa Francesco- andare all'incontro; non solo chiamare-convocare. È necessario cambiare la direzione: non aspettare, ma uscire (sempre con un atteggiamento di ascolto). Non cercare di "unificare", omogeneizzare i giovani. È necessario rispettare la loro pluralità, la loro diversità. Il loro grido ha "lingue, dialetti", ecc.... Questo atteggiamento genera nuovi cammini di speranza. "Giovani: non lasciatevi rubare la speranza e la gioia" (Christus Vivit, 107). È molto interessante come il Papa descrive i giovani in quel documento. Tenetelo a mente. D. … E DELLA TERRA: Si tratta di una novità importante rispetto alla CG XXIII e deve permeare tutto il documento. Ispirazione biblica: "Sappiamo che tutta la creazione geme e si strugge nel parto" (Rm 8,22). (Rm 8,22). Il documento di riferimento dovrebbe essere la Laudato Si'. La Terra è la "casa comune" di tutti, e anche … della Famiglia Murialdo. Ma è anche il mondo e in questo senso è anche il "grido del mondo". Dobbiamo accogliere l'invito di Francesco a pensare in termini di "ecologia integrale". In particolare: "Ascoltate il grido della terra e dei poveri" (LS 117). Noi, a partire dal carisma giuseppino, diremmo: "Ascoltate il grido della terra e dei giovani poveri". E’ importante approfondire il rapporto tra i "due gridi": dei giovani vulnerabili e della terra. Da un lato, i giovani sono quelli che "soffrono" di più per le ingiustizie e i problemi ambientali, dall'altro, i giovani sono molto sensibili, più ecologicamente consapevoli di noi. A partire dalle nostre opere educative, la sfida è quella di rivedersi in termini di educazione integrale, nel senso di una "conversione ecologica" (217ss), che implica anche un'educazione ecologica. Su questo tema è più che mai necessario lavorare in "rete": né i giuseppini e nè nessun altro possono farcela da soli! No, all'autosufficienza; Sì, al lavoro collaborativo e in rete. Reti non solo tra giuseppini, ma anche con diversi attori della società civile. *Vi condividiamo la prima parte del documento di indirizzo
25 March 2023

Celebrazioni di 150mo a Torino
NOI SIAMO QUI Perché un giorno san Leonardo Murialdo accolse il dono dello Spirito che lo invitava a metter la sua vita a servizio dei giovani e così intraprendere un cammino accanto ai giovani che è diventato la sua storia di santità. Noi non ricordiamo un santo che ha servito i giovani, noi onoriamo un sacerdote che servendo i giovani è diventato santo. NÓS SOMOS AQUI Porque um dia São Leonardo Murialdo acolheu o dom do Espírito que o convidou a colocar sua vida a serviço dos jovens e assim embarcar numa viagem ao lado dos jovens que se tornou sua história de santidade. Não nos lembramos de um santo que serviu aos jovens, honramos um padre que ao servir os jovens se tornou um santo. ESTAMOS AQUÍ Porque un día San Leonardo Murialdo acogió el don del Espíritu que le invitaba a poner su vida al servicio de los jóvenes y así emprender un camino junto a los jóvenes que se convirtió en su historia de santidad. No recordamos a un santo que sirvió a los jóvenes, honramos a un sacerdote que sirviendo a los jóvenes se hizo santo. NOI SIAMO QUI Perché alcuni sacerdoti hanno accolto l’invito dello Spirito di dare vita ad una famiglia religiosa perché potesse dare continuità al lavoro educativo dentro il Collegio Artigianelli e anche oltre. Da quel nucleo si è sviluppata una storia che oggi è consegnata a noi quali figli ed eredi. NÓS ESTAMOS AQUI Porque alguns padres aceitaram o convite do Espírito de dar vida a uma família religiosa para que esta pudesse dar continuidade ao trabalho educativo no seio do Colégio Artigianelli e para além dele. A partir desse núcleo, desenvolveu-se uma história que hoje nos é entregue como crianças e herdeiros. ESTAMOS AQUÍ Porque algunos sacerdotes aceptaron la invitación del Espíritu a dar vida a una familia religiosa para que diera continuidad a la obra educativa dentro del Colegio Artigianelli y más allá. A partir de ese núcleo, se ha desarrollado una historia que hoy se nos entrega como hijos y herederos. NOI SIAMO QUI Non possiamo di certo contare quanti religiosi e laici hanno reso possibile questa storia per 150 anni; di certo hanno pregato, lavorato, offerto perché un carisma rimanesse vivo nella Chiesa a favore dei giovani specie dei giovani poveri. NÓS SOMOS AQUI Não podemos certamente contar quantos religiosos e leigos tornaram esta história possível durante 150 anos; eles certamente rezaram, trabalharam, ofereceram-se para que um carisma pudesse permanecer vivo na Igreja a favor dos jovens, especialmente dos jovens pobres. ESTAMOS AQUÍ Ciertamente no podemos contar cuántos religiosos y laicos han hecho posible esta historia durante 150 años; ciertamente han rezado, trabajado, ofrecido para que permaneciera vivo en la Iglesia un carisma a favor de los jóvenes, especialmente de los jóvenes pobres. NOI SIAMO QUI Perché abbiamo fatto nostro un carisma che ci porta ad essere educatori dei giovani nelle scuole, nei centri di formazione professionale, negli oratori, nell’accoglienza, nelle parrocchie, secondo modalità che la situazione ci chiede e secondo un processo di incarnazione. NÓS ESTAMOS AQUI Porque fizemos nosso um carisma que nos leva a ser educadores dos jovens nas escolas, nos centros de formação profissional, nos oratórios, na hospitalidade, nas paróquias, de acordo com as formas que a situação nos pede e de acordo com um processo de encarnação. ESTAMOS AQUÍ Porque hemos hecho nuestro un carisma que nos lleva a ser educadores de los jóvenes en las escuelas, en los centros de formación profesional, en los oratorios, en la hospitalidad, en las parroquias, según los modos que la situación nos pide y según un proceso de encarnación. NOI SIAMO QUI Sentiamo il bisogno di dire grazie al Signore, ricco di misericordia. A lui affidiamo il tanto che abbiamo vissuto e il molto che abbiamo fatto, a lui affidiamo le nostre fragilità e le nostre inadempienze. A lui chiediamo di essere sempre accanto a noi per continuare il cammino. ESTAMOS AQUÍ Sentimos la necesidad de dar gracias al Señor, que es rico en misericordia. A Él confiamos lo mucho que hemos vivido y lo mucho que hemos hecho, a Él confiamos nuestras fragilidades y fracasos. A él le pedimos que esté siempre a nuestro lado para continuar el camino. NÓS SOMOS AQUI Sentimos a necessidade de dizer obrigado ao Senhor, que é rico em misericórdia. A Ele confiamos o muito que vivemos e o muito que fizemos, a Ele confiamos nossas fraquezas e fracassos. A Ele, pedimos que esteja sempre ao nosso lado para continuar a viagem. NOI SIAMO QUI Perché ricchi di questa storia vogliamo continuare il cammino nella scia del carisma di San Leonardo Murialdo. Tocca a noi oggi accettare le sfide del presente e mettere le basi per il futuro, tocca a noi oggi essere “amici, fratelli e padri” per i giovani che il Signore ci affida. Siamo noi oggi chiamati a passare il testimone a chi nella Famiglia del Murialdo si farà figlio ed erede per dare continuità ad una storia che appartiene prima di tutto ai giovani poveri. ESTAMOS AQUÍ Porque ricos de esta historia queremos continuar el camino siguiendo la estela del carisma de San Leonardo Murialdo. Nos corresponde hoy aceptar los retos del presente y sentar las bases del futuro, nos corresponde hoy ser "amigos, hermanos y padres" para los jóvenes que el Señor nos confía. Nos corresponde hoy pasar el testigo a aquellos que, en la Familia Murialdo, se convertirán en hijos y herederos para dar continuidad a una historia que pertenece, en primer lugar, a los jóvenes pobres. NÓS ESTAMOS AQUI Porque ricos nesta história, queremos continuar a viagem na esteira do carisma de São Leonardo Murialdo. Cabe-nos hoje aceitar os desafios do presente e lançar as bases para o futuro, cabe-nos hoje ser "amigos, irmãos e pais" para os jovens que o Senhor nos confia. Cabe a nós, hoje, passar o testemunho àqueles da Família Murialdo que se tornarão filhos e herdeiros para dar continuidade a uma história que pertence, antes de tudo, aos jovens pobres.
20 March 2023

L' augurio di Papa Francesco per il 150mo di fondazione
Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti! Ringrazio di cuore Padre Tullio Locatelli per le parole che mi ha rivolto, saluto i Vescovi presenti e la Madre Generale, e do il benvenuto a tutti voi. Ci incontriamo nel 150° anniversario di fondazione della vostra Congregazione. Infatti, il diciannove marzo 1873 San Leonardo Murialdo fondava la Pia Società Torinese di San Giuseppe per la cura e la formazione soprattutto dei giovani operai. A me fa pensare tanto questo tempo, lì, nel “fuoco” – diciamo così –, nel centro della massoneria, a Torino, nel Piemonte, tanti santi, tanti! E dobbiamo studiare perché, perché in quel momento. E proprio nel centro della massoneria e dei “mangiapreti”, i santi, e tanti, non uno, tanti. Dunque ha fondato a Torino, in questo contesto duro, segnato da tanta povertà morale, culturale ed economica, di fronte alla quale non è rimasto indifferente: ha raccolto la sfida e si è messo al lavoro, in mezzo alla massoneria. Così è nata una realtà che nel corso di un secolo e mezzo si è arricchita di persone, di opere, di esperienze culturali diverse, e soprattutto di tanto amore. Una realtà composta oggi da circa cinquecento religiosi – sono pochi, dovete crescere un po’! – e, inoltre, dalle suore Murialdine di San Giuseppe – alle quali pure facciamo gli auguri, nel settantesimo anniversario della loro fondazione –, dall’Istituto secolare e da parecchi laici, tutti uniti in un’unica Famiglia. Tanto è cresciuto il seme posto da Dio nella Chiesa per mezzo delle mani generose di San Leonardo Murialdo! Lo scorso anno, in occasione dell’apertura di questa celebrazione giubilare, ho scritto al vostro Superiore Generale e vi auguravo di continuare a crescere nell’«arte di cogliere le esigenze dei tempi, e di provvedervi con la creatività dello Spirito Santo». Non si può controllare lo Spirito, è Lui che ci porta avanti. Ci vogliono solo discernimento e fedeltà. Vi esortavo a prendervi cura specialmente dei «più giovani, i quali, oggi più che mai, hanno bisogno di testimoni credibili». E vi incoraggiavo a non smettere mai di sognare, sull’esempio di San Giuseppe, vostro Patrono, e di San Leonardo, in spirito di autentica paternità [1]. Oggi, mentre vi rinnovo questo invito, vorrei sottolinearne tre aspetti, che mi sembrano importanti per la vostra vita e per il vostro apostolato. Essi sono: il primato dell’amore di Dio, l’attenzione al mondo che cambia e la dolcezza paterna della carità. L’esperienza dell’amore di Dio ha segnato profondamente la vita di San Leonardo. Lo sentiva in sé forte, concreto, irresistibile, come lui stesso testimonia, scrivendo: «Dio mi ama. Che gioia! […] Non si dimentica mai di me, mi segue e mi guida sempre!». E invitava i fratelli a lasciarsi prima di tutto amare da Dio. Lasciarsi amare da Dio: questo è stato il segreto della sua vita e del suo apostolato. Non solo amare, no, lasciarsi amare. Quella passività – sottolineo – quella passività della vita consacrata, che cresce nel silenzio, nella preghiera, nella carità e nel servizio. E l’invito vale anche per noi: lasciamoci amare da Dio per essere testimoni credibili del suo amore; lasciamo che sia sempre più il suo amore a guidare i nostri affetti, pensieri e azioni. Non le regole, non le disposizioni. Un aneddoto: quando un Generale della Compagnia di Gesù, padre Ledochowski, ha voluto mettere insieme tutta la spiritualità della Compagnia in un libro, per “regolare” tutto – si regolava tutto, c’era la regola del cuoco, tutto regolato, perché la Compagnia di Gesù avesse davanti l’ideale –, inviò il primo esemplare all’abate benedettino, e lui gli rispose: “Caro Padre Generale, con questo documento ha ucciso la Compagnia di Gesù!”. Quando si vuole regolare tutto, si “ingabbia” lo Spirito Santo. E ce ne sono tanti – religiosi, consacrati, preti e vescovi – che hanno ingabbiato lo Spirito Santo. Per favore, lasciare libertà, lasciare creatività. Sempre camminare con la guida dello Spirito. San Leonardo Murialdo era certamente un uomo profondamente mistico. Proprio questo, però, lo ha reso anche molto attento e sensibile ai bisogni degli uomini e delle donne del suo tempo (cfr 2 Cor 5,14), di cui è stato un osservatore acuto e un profeta coraggioso. Ha saputo accorgersi dell’esistenza, attorno a sé, di disagi nuovi, gravi e spesso nascosti, e non ha esitato a prendersene cura. Ha insegnato in particolare ai giovani lavoratori a progettare il loro futuro, a far sentire la loro voce e ad aiutarsi a vicenda. Si è fatto portavoce della parola profetica della Chiesa in un mondo dominato da interessi economici e di potere, dando voce ai più emarginati. Ha saputo poi cogliere il valore del laicato nella vita e nell’apostolato del Popolo di Dio. Nella seconda metà dell’ottocento, un secolo prima del Vaticano II, diceva: «Il laico, di qualsiasi ceto sociale, può essere […] un apostolo non meno del prete e, per alcuni ambienti, più del prete» [2]. Per 2 quell’epoca questo suona protestantesimo. Era coraggioso! Era un uomo di Dio intelligente, aperto! Vi invito a coltivare la sua stessa passione e il suo stesso coraggio: insieme, laici, religiosi e religiose, su strade condivise di preghiera, di discernimento e di lavoro, per essere artigiani di giustizia e di comunione. A questo proposito, vorrei fare riferimento a un ultimo valore importante del vostro carisma: la dolcezza paterna della carità. Possiate ricercarla e viverla tra voi, con spirito di fraternità, ed esercitarla nei confronti di tutti. Essere come Maria nostra Madre: allo stesso tempo forti nella testimonianza e dolci nell’amore. San Leonardo diceva: «La carità è guardare e dire il bello di ognuno, perdonare di cuore, avere serenità di volto, affabilità, dolcezza». E per fare questo bisogna saper portare la croce. Ci vuole preghiera, ci vuole sacrificio. E ancora: «Come senza fede non si piace a Dio, così senza dolcezza non si piace al prossimo». Sono parole sue: un semplice e potente programma di vita e di apostolato. Vorrei anche dare testimonianza dei vostri studenti. Quando ero professore a San Miguel, loro studiavano lì, e avevano un Superiore molto pratico e molto bravo. Noi dicevamo che quel Giuseppino, il Superiore, era il “premio Nobel” della furbizia! Perché era un uomo di Dio, ma un furbone! Si muoveva bene! Ricordo bene, un bel gruppo di studenti. Vorrei concludere ricordando proprio l’invito del Murialdo alla santità: «Fatevi santi – diceva – e fate presto... Perché il santo ha uno sguardo lungimirante, rende la vita più umana, comunica speranza e fiducia e sa condividere la sua esperienza che Dio è Amore». Cari fratelli, care sorelle, vi ringrazio di ciò che siete e di ciò che fate nella Chiesa, sulle orme di San Leonardo e ispirati da San Giuseppe. Vi benedico tutti di cuore. E, mi raccomando, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
17 March 2023
